Pasta, amore e vanto della cucina italiana. Ma da dove viene il grano, dove sono prodotti spaghetti, rigatoni, conchiglie&c, gloriosi protagonisti delle ricette nostrane? Dal nostro Bel Paese? O da sconosciuti luoghi lontani?
Chiarezza sul Paese d'origine: è quel che chiede il 96% dei consumatori, secondo l'ultima consultazione del Ministeri delle Politiche Agricole. Ed è ciò che otterranno, dato che un nuovo decreto prevede che l' indicazione di provenienza dell'ingrediente principale non sia obbligatoria solo per pasta (grano) e riso, ma per tutti gli alimenti, dagli hamburger ai succhi di frutta, dai salumi alle marmellate.
Da un anno era già in vigore, in via sperimentale, l’ obbligo di indicare sull’ etichetta di tutta la pasta secca e il riso commercializzato in Italia il luogo di produzione del grano e del riso.
Per quanto riguarda la pasta, in etichetta deve da allora essere indicato il “Paese di coltivazione del grano” e il “Paese di molitura”, ovvero dove è stata prodotta la semola. Se la coltivazione/molitura è avvenuta in un unico Paese per almeno - solo... - il 50%, viene indicato tale Paese e la sua appartenenza all’Unione Europea o meno. Per esempio: “Italia e altri Paese Ue”. Altrimenti si legge per esempio “Paesi Ue e non Ue”.
L'introduzione dell'origine del grano sulle etichette della pasta ha avuto "effetti dirompenti sulle importazioni di grano dal Canada con un drastico calo del 75% nell'ultimo anno" - ha dichiarato Ettore Prandini, presidente della Coldiretti, la principale associazione agricola italiana. Coldiretti ha condotto una lunga battaglia contro il grano straniero, accusato di arrivare spesso nel nostro Paese già vecchio e a rischio di contenere sostanze tossiche per il nostro organismo. Puntando il dito in particolare sui controlli nelle coltivazioni estere rispetto all’utilizzo di pesticidi. Il glifosato, il più usato al mondo, è per esempio massicciamente adoperato in molti Paesi produttori, a partire proprio dal Canada. In Italia da un paio d'anni i suo uso ha subito forti restrizioni, ma non si può dire elimnitao (oltre a tutto, si può comodamente acquistare online).
Per quanto riguarda il riso, in etichetta viene indicato il “Paese di coltivazione”, il “Paese di lavorazione” e il “Paese di confezionamento”. Se trovate scritto “Origine del riso” e il nome di un solo Paese, vuol dire che tutto – coltivazione, lavorazione, confezionamento – è avvenuto in tale Paese.
Un provvedimento simile era già stato preso nel 2016 riguardo ai prodotti lattiero-caseari, obbligando l’indicazione del “Paese di mungitura” e del “Paese di confezionamento e trasformazione”. Se in etichetta è indicato “latte italiano” vuol dire che tutto il processo è avvenuto in Italia, altrimenti la dicitura potrebbe essere, per esempio, “Miscela di latti di Paesi non Ue”.
Non solo: nel corso degli anni, per vari altri alimenti era diventata obbligatoria la -almeno parziale - trasparenza: carne ovina, caprina, suina, di pollo e bovina; pomodoro; frutta e verdura fresca; uova; miele; olio extra vergine; pesce. Adesso l ‘indicazione di origine delle materie si estenderà a tutti i cibi confezionati. Per quanto riguarda le carni, anche quella di coniglio, dunque, ma soprattutto le carni trasformate, come le hamburger. Poi i salumi, il pane, le conserve, i succhi di frutta... La provenienza dello 'ingrediente prevalente' sarà così in buona parte svelata. E un po' più protetto il Made in Italy agroalimentare. Resta ancora aperta la partita per combattere l’ Italian Sounding, ovvero il cibo che "suona italiano", prodotto da aziende travestite in tricolore, ma che italiane non sono. Fonte di diatriba con la stessa Ue, l' agropirateria e la contraffazione di prodotti del Made in Italy valgono ogni anno un fatturato che supera ogni anno i 60 miliardi di euro (dati Coldiretti).
Carola Traverso Saibante
ottobre 2017
aggiornato febbraio 2019