Il mio viaggio multisensoriale nell’inebriante mondo del passito inizia dalla cantina di Donnafugata (clicca qui), in contrada Khamma, dove si trovano alcuni dei meravigliosi terrazzamenti che disegnano uno dei paesaggi rurali più suggestivi del Mediterraneo.
È qui che incontro Laura Ellwanger, stretta collaboratrice della famiglia Rallo che dal 1983 è alla guida dell’azienda vitivinicola Donnafugata, prima con i fondatori Giacomo e la moglie Gabriella, poi con i figli Antonio e José.
Finalmente faccio la conoscenza dei famosi alberelli di zibibbo, l’oro di Pantelleria da cui si produce il prezioso passito Ben Ryé, che in arabo significa figlio del vento.
La prima sorpresa, alla quale ne seguiranno altre molto piacevoli nel corso della giornata, è il sopralluogo nel vigneto che non è quello al quale sono abituata io che vengo dal Nord.
Qui le viti hanno la forma di piccoli, ma robusti, alberelli, potati con un andamento orizzontale, quasi strisciante sul terreno, per sopportare le condizioni ambientali marine e la forza del vento.
Il passito nasce da una vite allevata ad alberello
La vite, allevata ad alberello pantesco dichiarato patrimonio culturale dell’umanità dall’Unesco, produce un’uva dolce e aromatica, dalle proprietà organolettiche forgiate dal mare che detiene un ruolo fondamentale conferendo allo zibibbo, conosciuto anche come moscato di Alessandria, un bagaglio di componenti saline e minerali di grande pregio.
L’alberello viene così potato per poter essere protetto dai venti impetuosi che continuamente tormentano l’isola.
Nella “perla nera del Mediterraneo” spazzata da Maestrale, Libeccio o Scirocco, per quanto riguarda la produzione del passito, l’irrigazione non è permessa. Per questo motivo alla base di ogni alberello viene scavata una conca che serve a convogliare la poca acqua piovana dei mesi invernali sul fondo del suolo sabbioso. La radice della vite, grazie proprio alla tipologia del terreno, riesce a raggiungere anche 10 metri di profondità e a nutrirsi dell’acqua e dell’umidità necessaria.
La conca ha una funzione importantissima, visto che sull’isola l’ultima pioggia che possa chiamarsi tale la ricordano ancora e risale all’11 agosto 2015. L’inverno è stato poi avaro e non ha regalato alla terra che poche gocce d’acqua mista alla sabbia che lo scirocco porta dalla costa africana.
Donnafugata coltiva lo zibibbo in ben 14 contrade sull’isola ed è così in grado di avere raccolti diversi: nei vigneti più bassi è stato registrato un calo di produzione del 50% rispetto all’anno precedente; mentre le piante a 300 metri s.l.m. hanno reagito diversamente grazie alla sabbia vulcanica che è la vera ricchezza.
Non tutto il male viene per nuocere: la debolezza si trasforma in forza
Altra particolarità delle viti è l’età che va dai 50 ai 100 anni. Quella che Laura mi mostra è centenaria e gode di ottima salute: è una vite a piede franco, cioè non è stata innestata su una vite americana come è successo a buona parte dei vigneti italiani intaccati dalla fillossera, un parassita che negli anni ’30 del secolo scorso falcidiò buona parte del patrimonio vitivinicolo europeo. Per produrre il passito di Pantelleria questa vite ha saputo trasformare la debolezza in forza, le difficoltà in ricchezze. Infatti, se è ancora quella originale, è perché ha potuto contrastare l’epidemia facendo leva proprio sulle condizioni climatiche estreme dell’isola. Sole, vento, area salmastra, terreno vulcanico sabbioso e siccità hanno contrastato il propagarsi della fillossera a Pantelleria.
La minor quantità di uva prodotta da una vite anziana - dai 700 g a 1 kg – è compensata dalla maggiore concentrazione di aromaticità e di zuccheri presente negli acini.
Viticoltura eroica
Si parla di viticoltura eroica a Pantelleria per il grande lavoro che viene fatto dall’uomo viste le difficili condizioni ambientali. Basti pensare che per raccogliere l’uva, qui sull’isola, occorrono ben più giornate di lavoro di quante ne servono nelle vigne tradizionali in continente. Un lavoro faticoso, a partire dalla potatura bassa alla lavorazione manuale in vigna, dalla diraspatura dei grappoli d’uva appassita a mano alla continua manutenzione dei muretti a secco in pietra lavica che delimitano i terrazzamenti dove crescono le viti.
Anche la raccolta dei grappoli, durante la vendemmia che dura circa 5 settimane da metà agosto a metà settembre, avviene manualmente: gli alberelli crescono sui terrazzamenti ed è impossibile effettuare la raccolta dell’uva con i macchinari. I vendemmiatori, costantemente piegati, raccolgono la pregiata uva zibibbo da cui si produce vino bianco e il prezioso passito.
Donnafugata ha recuperato circa 20 km di muretti a secco che vanno continuamente manutenuti, utili non solo a riparare gli alberelli dal vento, ma anche a contrastare l’erosione del suolo sabbioso a tutela del paesaggio.
In vigna
sono 68 gli ettari di vigneti dislocati in 14 contrade, diverse per suolo, altitudine (da 20 a 400 m s.l.m.), esposizione al sole ed età delle piante. L’uva che matura prima è quella che cresce più vicina al mare, sui versanti più soleggiati, mentre l’ultima a essere raccolta arriva dai vigneti che si trovano all’interno dell’isola. Per esempio, nelle contrade di Martingana e a Punta Karace la maturazione è precoce, mentre nella Piana della Ghirlanda è più tardiva. La vendemmia dura diverse settimane proprio perché l’uva di zibibbo viene raccolta mano a mano che matura nelle diverse contrade. In questo modo varia la concentrazione zuccherina, l’acidità e l’aromaticità che vanno ad arricchire il passito.
A Pantelleria sopravvivono pochi parassiti che possono attaccare le viti. A difenderle è la siccità e il vento, come pure il terreno sabbioso che non consente agli insetti di raggiungere le radici perché franando li blocca. Per questo in vigna non vengono utilizzati diserbanti e sostanze chimiche tossiche, ma solo pratiche sostenibili. Per esempio, tra gli alberelli vengono coltivate le fave che rendono il terreno ricco di sostanze nutritive; di conseguenza le piante rinvigoriscono e sono meno soggette ad ammalarsi.
Quest’annata è stata particolarmente calda e la siccità ha pesantemente condizionato la quantità di uva prodotta. Donnafugata, per assicurarsi un’ottima qualità di passito, ha scelto di diradare i grappoli per avere un’uva più sana, con una maggiore concentrazione di zuccheri. Per la vendemmia di quest’anno sono state impiegate 60 persone.
Appassimento dell’uva
L’uva raccolta è posta ad appassire su appositi graticci dove viene fatta essiccare al sole e al vento. In questo periodo, per favorire il migliore appassimento, viene girata manualmente più volte. L’uva di zibibbo subisce diversi stadi di appassimento. Il segreto di Donnafugata per dare maggiore freschezza al passito è non far appassire completamente l’uva, ma lasciare un residuo di succo del 20-25%. In questo modo non si ha solo una concentrazione di zuccheri e aromi, ma anche freschezza, profumi e acidità particolari.
La caratteristica del passito Ben Ryé di Donnafugata è la quantità di uva passa che viene utilizzata per produrlo. Per 1 litro di passito servono 4 kg di uva fresca, base del mosto, di cui 3 kg diventano circa 750 g di uva passa che, in fase di fermentazione, dona il caratteristico colore ambrato, la ricchezza di profumi, corpo e complessità.
Laura Ellwanger ci tiene a precisare che il passito di Donnafugata è naturale, non vi è aggiunta di alcol. La concentrazione di alcol è dovuta solo all’uva passa.
L’uva è sgrappolata a mano
Questo processo dura quasi un mese. Come abbiamo visto occorre molta uva appassita per produrre un buon passito e deve essere assolutamente diraspata a mano. Una deraspatrice, anche la più moderna, non riuscirebbe a separare gli acini dai raspi senza far fuoriuscire i tannini dei semi. Inoltre i raspi non devono assolutamente finire nelle botti di acciaio perché potrebbero conferire delle note aromatiche poco gradevoli.
Lavorazione in cantina
L’uva raccolta in cassette è depositata su un tavolo vibrante dove viene ulteriormente selezionata (una prima pulizia viene fatta durante la raccolta in vigna), ripulita da foglie e acini guasti. Vengono tolti i raspi e, a questo punto, entra in una pressa in acciaio inox dove viene leggermente pigiata da una sorta di palloncino che, gonfiandosi, aumenta dolcemente la pressione. Il mosto resta qui circa 8 ore a contatto con le bucce. Questo processo si chiama criomacerazione e serve a rendere il mosto ancora più profumato. Dopo di che, il mosto passa attraverso dei tubi refrigeranti utili a evitare un’alterazione della carica aromatica e l’ossidazione; quindi è travasato nelle vasche in acciaio inox dove viene mantenuta la temperatura costante di 0°-4° così da bloccare il processo di fermentazione.
Quando tutta la raccolta è terminata e l’uva passa è pronta, si avvia la fermentazione del mosto a 4° di alcol svolto e si aggiunge l’uva passa intera, non pressata, in maniera graduale per non bloccare il processo di fermentazione che necessita di circa 40 giorni. Quando gli zuccheri sono convertiti in alcol, si toglie l’uva passa e se ne aggiunge dell’altra. L’aggiunta graduale dell’uva passa è fondamentale per non perdere tutti gli aromi.
Servizio e abbinamenti
Prima di salutarci Laura mi invita a degustare il passito Ben Ryé, del quale ormai conosco quasi tutto, tranne la sorprendente freschezza, il bouquet intenso e fragrante dalle note dolci di miele e fico fresco unite ai tipici aromi di albicocca e scorza di agrume candita.
L’assaggio è l’ultima delle piacevoli e memorabili sorprese offertemi da Laura durante la visita alle cantine di Donnafugata. Come specifica Laura, il passito dai caldi riflessi ambrati, perché riesca a esaltare al massimo i profumi e il gusto aromatico, va servito fresco a 14°. Dipende poi dai gusti personali e dalle stagioni: essendo un vino dolce si può consumare anche a una temperatura più alta. Gli abbinamenti più indicati sono con i dolci, biscotti secchi o dolci siciliani a base di ricotta che ne sottolinea la freschezza e le note acide. Chi non ama i dolci, può abbinare il passito a formaggi saporiti, come gli erborinati o quelli stagionati, che meglio contrastano la dolcezza del passito. Straordinario anche da solo, come vino da meditazione.
Va servito in calici di media grandezza, con leggera svasatura e può essere stappato al momento.
Secondo l’ultima edizione della guida Slow Wine 2017: “... il passito naturale di Pantelleria Ben Ryé rappresenta il solito capolavoro tecnico, culturale e umano: in bocca si esprime con progressione infinita, chiudendo con un’amabile nota di pasta di mandorla”.
Inoltre ha ottenuto diversi importanti riconoscimenti. Il Ben Ryé 2013 è stato così premiato: 95/100 Vinous (Antonio Galloni); 99/100 Annuario dei Migliori Vini d’Italia 2016 (Maroni); 93/100 Wine Avocate (e-robertparker Jan 2016).
Prima di lasciare i terrazzamenti, Laura mi accompagna al giardino pantesco donato da Donnafugata al FAI.
Altra sorpresa: davanti a me non vedo fiori colorati, siepi sagomate dall’arte topiaria e prati, ma solo una torre, bassa come è basso tutto ciò che cresce sull’isola, formata da pietre nere come pece posizionate a secco.
L’aspetto è severo, sembra quello di una fortezza. Oltrepasso con curiosità la porta e tutto mi diventa più chiaro: la struttura, proprio come una fortezza, ha lo scopo di proteggere un albero di arance dal vento e dalla calura estiva. All’interno, oltre ai profumi sprigionati dai primi frutti, si respira un’aria di sacralità. Non c’è più il rumore del vento, tutto è quieto e silenzioso, solo il canto di un uccellino si alza verso il blu del cielo.
Ad addolcire Pantelleria, scoglio di pietra nera circondato da un mare blu burrascoso, vulcano spento di immutabile asprezza, non c’è che il passito.
Monica Pilotto
20 ottobre 2016-10-20
video e foto Salvatore La Forgia e Paola Longo