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Olive da tavola: conoscerle per sceglierle bene

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Cultivar, lavorazione, tipologie in commercio e origine

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Verdi, nere, in salamoia, sott'olio, infornate, farcite: di olive da tavola ne esistono tantissime e non sempre è facile districarsi in un'offerta tanto vasta.

Un primo passo per farsi un'idea su cosa scegliere è capire da dove parte la loro storia e quale strada percorrono, dalla pianta alla nostra borsa della spesa.

Ce lo siamo fatto raccontare da Pasquale Bonsignore di Incuso (clicca qui), giovane realtà siciliana che riunisce un numero ristretto di produttori di olio, nella zona di Nocellara del Belice, e che nel 2016 ha cominciato ad allargare i suoi orizzonti mettendo in catalogo altre referenze, prime fra tutte proprio le olive "da mensa".

Frutti diversi
La prima domanda sorge spontanea: che differenza c'è fra olive da olio e da tavola?
"Non tutte le olive sono adatte a entrambe le lavorazioni", spiega Bonsignore. "Anzi, di solito gli ovicoltori si specializzano in una direzione piuttosto che nell’altra. Anche perché solo alcune tipologie di cultivar (varietà), come la Nocellara o la Taggiasca, hanno una duplice attitudine. La differenza è nella composizione chimica delle olive, che dipende dal grado di maturazione alla raccolta, così come il contenuto in olio e il calibro: le olive da tavola vengono "brucate" (staccate dai rami, ndr) da metà settembre a metà novembre circa, quando presentano un colore verde paglierino, hanno in genere calibri leggermente maggiori di quelle da mola e, non raggiungendo una completa maturazione, non presentano ancora al loro interno il massimo tenore in olio. La polpa si presenta consistente, compatta e ricca di zuccheri, che entreranno in gioco durante la fermentazione".

La lavorazione
Già, perché prima di arrivare nella ciotolina che accompagna il nostro aperitivo, le olive fresche devono essere sottoposte a una lavorazione che prevede anche una fase fermentativa.

"Il principio base è la riduzione di una sostanza, l'oleuropeina, che dà alle olive fresche un sapore amaro più o meno apprezzabile. I frutti possono essere trattati con una soluzione sodica, che 'cuoce' le olive, poi addizionati di sale o messi in salamoia e lasciati fermentare per un periodo che va da 20-30 giorni fino a 2-3 mesi. In questo lasso di tempo batteri lattici, lieviti e altri microrganismi riducono naturalmente il ph delle olive, fanno perdere il sapore amarognolo e permettono la successiva, durevole conservazione. In entrambi i casi, avremo olive di sapore agrodolce o semi dolce, a volte leggermente agrumato, colore verde brillante, polpa croccante e soda, ideali per aperitivi e insalate".

"Un altro metodo, detto 'naturale', prevede un trattamento con soluzioni saline concentrate che dura almeno 6 mesi”, prosegue l'esperto. "Le olive processate in questo modo conservano un leggero sapore amarognolo, sfumature di colore rosate, polpa morbida".

Le tipologie in commercio
Sono in genere sottoposte al metodo naturale le olive successivamente conservate in olio, incise o schiacciate e variamente condite.

Perché, naturalmente, dopo le lavorazioni preliminari le olive possono prendere ancora tante altre strade: essere lasciate intere, denocciolate, tagliate a rondelle; essere immerse in salamoie, anche acidificata con aceto, in olio di semi di girasole, con l'aggiunta di aromi, ed essere infornate; essere confezionate in vasetti in vetro, latte, buste, vaschette, in atmosfera modificata o sottovuoto, pastorizzate e non.

Verdi o nere?
Prima di tutto ciò, possono persino essere annerite. Infatti, premesso che tutte le olive nascono verdi, quelle nere possono avere due origini.

La prima è, semplicemente, una maturazione più avanzata che fa scurire i frutti già sulla pianta, prima del raccolto.

La seconda è l'effetto di un processo produttivo: le olive, una volta dolcificate, possono essere lavorate a secco con il sale, lasciate ossidare all'aria o addizionate di una sostanza, il gluconato ferroso, che "forza" l'annerimento mantenendo la polpa più soda di quel che accadrebbe con la normale maturazione.

Indicato in etichetta, questo ingrediente è spesso usato per olive denocciolate o a rondelle di qualità modesta, scelto anche per evitare che, durante la lavorazione, si rompano facilmente.

Le varietà e i prezzi
Da 8-9 euro al chilo fino a 30 euro e oltre: dalla grande distribuzione alla gastronomia, passando per i banchi dei mercati rionali, le olive possono avere prezzi anche molto diversi.

Questo dipende, in parte, dalle numerose lavorazioni che, come si è visto, possono comportare tempi lunghi e quindi incidere sul costo di produzione. Ma, naturalmente, anche dalla qualità di partenza e dall'origine.

Le olive italiane protette dalla Dop sono la Nocellara del Belice, l'Ascolana del Piceno (quella che nelle Marche si usa farcire, impanare e friggere) e la pugliese Bella della Daunia, che appartiene alla cultivar Bella di Cerignola.

Fra le altre specialità di casa nostra, non si possono non citare la ligure Taggiasca, le calabresi Carolea e Cassanese, le Leccino tipiche dell'Italia cetromeridionale (spesso infornate) e la laziale Itrana, la varietà da cui si ottengono le celebri olive di Gaeta.

Le produzioni estere
"Nel nostro Paese si contano circa 60 cultivar e vengono prodotte intorno alle 80.000 tonnellate all'anno di olive da tavola. Un 10% è destinato all'esportazione. Ma gli italiani ne consumano più di 120.000 tonnellate all'anno. Ecco che, allora, si ricorre all'importazione da Grecia, Spagna e Nord Africa, soprattutto Marocco", racconta Bonsignore.

Posto che nessuno mette in dubbio la qualità di prodotti come le Kalamata elleniche o le iberiche Arbequina e Sivigliane (da Siviglia arriva anche uno dei metodi di lavorazione tradizionali), resta il fatto che in etichetta non sempre è indicata l'origine.

Considerato che l'oliva è uno sfizio, meglio allora orientarsi verso produzioni, nostrane o estere, di sicura qualità, scegliendo prodotti tipici, certificati, anche biologici e di cui si conosca l'origine.

Francesca Romana Mezzadri
settembre 2016

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