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Sale&Pepe: scopri il numero di marzo 2019

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96961Con le paste di meliga monregalesi ho un lungo rapporto d’affetto: le compro da quarant’anni ogni volta che vado nella mia casina vicino a Mondovì. Oggi, oltre a essere riconosciute come Pat (prodotto agroalimentare tradizionale), sono un Presidio Slow Food ed esiste un consorzio che le salvaguarda. Si tratta di biscotti burrosi, per lo più a forma di ciambella o bastoncino il cui nome deriva da “melia”, termine dialettale che indica il mais.


Nati probabilmente dall’esigenza di mescolare la farina di frumento, troppo cara, con quella di fumetto di mais (in particolare l’otto file, tipico della zona), si sono diffusi nelle vallate del cuneese sino al Canavese e al Biellese per arrivare alle porte del capoluogo piemontese. Non a caso a Sant’Ambrogio di Torino una sagra le festeggia da 11 anni. A soli 16 km da qui però la storia prende una piega diversa. Pianezza, nell’hinterland torinese, è la patria del melicotto (altro nome che definiva alcune specie di mais), dolcetto di pasta di meliga riscoperto da Gian Paolo Spaliviero, pianezzese e cultore di storia locale.


171418La sua ricerca, che è diventata un libro (Il mistero dei melicotti di Pianezza, edizioni del Graffio), è partita dalla lettura di un vecchio numero della rivista del Touring Club Italiano del 3 marzo 1920: i melicotti vi sono citati come specialità di Pianezza, il che fa ritenere che fossero già famosi prima del conflitto mondiale del ’15-’18 e avessero avuto diffusione popolare, grazie al miglioramento delle comunicazioni stradali nel 1884, verso la città di Torino. Dopo gli anni ’30 i melicotti sono misteriosamente scomparsi, tanto che solo l’uscita del libro li riporta allo scoperto e una sagra da 7 anni li festeggia. La ricerca di Spaliviero aveva l’obiettivo di capire il perché della sparizione ma anche di dimostrare che i melicotti, più rustici e sodi, sono i progenitori di altre paste di meliga.


I documenti non hanno portato a una conclusione certa e quindi è difficile capire se siano nati prima i melicotti o le paste di meliga del Monregalese, se siano cugini o uno discenda dall’altro. Forse sono soltanto figli di quell’invisibile filo che unisce le necessità: preparati con farina poco costosa e forse con il miele al posto dello zucchero, erano energetici e potevano essere cotti sfruttando il calore del forno acceso per il pane. Perché scomparvero da Pianezza però non si sa. La soluzione non è “elementare”, mio caro Watson.


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