È il grasso alimentare più usato al mondo. Lo ritroviamo in moltissimi prodotti confezionati: biscotti e brioche, grissini e cracker, patatine fritte, snack al cioccolato, gelati, dadi. E non sono che pochi esempi.
Stiamo parlando dell'olio di palma, ricavato dall'albero Elaeis guineensis: spremendo la polpa del frutto rosso (nella foto) si estrae l'olio, che poi viene raffinato, schiarito e deodorato chimicamente.
Quasi sempre lo consumiamo senza saperlo: sulle etichette dei prodotti confezionati infatti non è obbligatorio specificare la sua presenza ed è invece sufficiente la dicitura generica "oli/grassi vegetali".
È accusato di essere nocivo per la salute e all'ambiente.
È vero? Sicuramente non è benefico. Il difetto peggiore dell'olio di palma è la forte presenza di acidi grassi saturi, che sembra provocare un innalzamento del colesterolo. C'è comunque di peggio. Nei prodotti industriali vengono utilizzati anche i grassi vegetali idrogenati (cioè trattati con idrogeno per renderli più saturi e quindi più stabili), ben più nocivi perché contengono gli acidi grassi trans. Dannosi (e rifiutati dai consumatori) al punto che le aziende li stanno progressivamente abbandonando proprio a favore dell'olio di palma. Come dire, tra i due si sceglie il male minore.
E per quel che riguarda l'ambiente? Per fare spazio alle coltivazioni di palme da olio negli ultimi 20 anni sono stati deforestati milioni di ettari, soprattutto in Indonesia e Malesia. Al momento l'Indonesia è il maggior produttore al mondo di olio di palma e tra il 2000 e il 2013 ha più che triplicato l'estensione delle coltivazioni, continuando a devastare la foresta tropicale.
In più una recente ricerca pubblicata sul Journal of Geophysical Research - Biogeosciences (un'autorevole giornale scientifico americano) ha analizzato l'impatto delle coltivazioni di palma da olio sui corsi d'acqua, in una zona del Borneo indonesiano. I ricercatori hanno scoperto che in questi corsi d'acqua la temperatura è più alta di 4 gradi rispetto alla media e contiene un'altissima quantità di sedimento. Trattandosi di fiumi e torrenti, sottolinea la ricerca, i danni all'ecosistema si estendono a molti chilometri dalla zona presa in esame, influenzando le fonti potabili e le barriere coralline alle foci dei fiumi.
Per questo l'olio di palma non piace neanche a vegetariani e vegani: è vero che è vegetale, ma non è "cruelty free" perché causa sofferenza agli animali.
Che soluzioni adottare? Il prodotto in sè non va eccessivamente demonizzato. Per quel che riguarda la salute si può per esempio limitare il consumo di alimenti confezionati: in realtà questi ultimi spesso non sono salutari a causa dell'eccessiva quantità di grassi e zuccheri, piuttosto che per il tipo di grasso utilizzato.
Ci sono poi diversi movimenti internazionali volti a divulgare informazione sull'argomento.
Per esempio Ecoalfabeta blogosfere punta a diffondere consapevolezza circa ciò che si consuma e suggerisce quali prodotti scegliere tra quelli che ne sono privi.
Il blog francese Vivre sans huile de palme è dedicato all'informazione e tra le altre cose fa un elenco di produttori che non lo utilizzano o che ne danno specifiche delucidazioni sulla confezione.
Sustainable palm oil si rivolge anche ai coltivatori e promuove la produzione di un olio di palma sostenibile. Una via possibile, ma che necessiterebbe di leggi più severe che impediscano la deforestazione e le coltivazioni intensive nelle vicinanze dei corsi d'acqua.
Barbara Galli
15 luglio 2014