Avete mai sentito parlare di Orsanti, Scimmianti, Cammellanti? Io mai sino all'autunno scorso quando, visitando il piccolo e bel borgo fortificato di Vigoleno, nel piacentino, mi sono trovata davanti a una porticina con su scritto "museo degli Orsanti". Le fotografie che accolgono chi entra raccontano la storia dei commedianti di strada e dei primi circensi italiani (immortalano gruppi di uomini con strumenti musicali, ma soprattutto con animali come scimmie, orsi, cammelli) e raccontano una vita di coraggio, avventura e intraprendenza anche ai limiti della legge. Non c'è cibo in questa storia bensì fame, tanta, che spinse molte persone ad abbandonare l'Appennino parmense, soprattutto i contadini della Val di Taro e della Val di Ceno. I castagneti che davano il "pane grosso" ossia la maggior fonte di sostentamento, le coltivazioni di patate e anche di mais non fermarono l'emigrazione; le carestie avvenute nel Settecento e poi quelle dell'Ottocento (ben cinque) e l'incertezza dei futuri raccolti spinsero i più intraprendenti, anche attirati dall'avventura, a inventarsi un mestiere diverso: carbonai, merciai ambulanti, venditori di erbe medicinali e, soprattutto, commedianti. Il confine tra merciai, suonatori e conduttori di animali da spettacolo non è sempre stato netto e questo grazie alla presenza delle scimmie che compaiono in tutti e tre i mestieri. Si cominciava con un piccolo animale, anche un pappagallo, poi con i primi risparmi arrivava la scimmia e infine l'orso. Chi col tempo riusciva a possedere diversi animali di taglia grande, per poterli accudire e farli lavorare, formava con altri uomini vere e proprie compagnie. I più coraggiosi conduttori di bestie, con i loro spettacoli, varcarono i confini nazionali e attraversarono il continente europeo fino alla zone più remote di Russia, Asia e Africa del Nord. Molti si specializzarono nell'ammaestrare gli animali, altri nel commercio. Nel 1833 si sa che a Londra c'era un certo Rossi di Compiano (paese in provincia di Parma e prima sede del museo degli Orsanti) che acquistava animali in Africa per rivenderli ai compatrioti girovaghi. Si racconta ancora oggi che nelle valli Ceno e Taro esistano le "querce dell'orso", alberi che gli animali usciti dal letargo abbracciavano in modo che i conduttori potessero tagliare le temibili unghie. Nel bedoniese ci sono ancora le "ca' de l'ors", dove gli animali venivano ricoverati prima dei grandi viaggi, con museruole di ferro e collari. Il piccolo museo di Vigoleno offre anche uno spaccato sulla vita di questi commedianti, ci sono abiti, organetti e altri strumenti, marionette, sedie e un esemplare di biciclo. Cosa avranno mangiato gli Orsanti? Sicuramente anche il cibo di paesi stranieri e forse imparato le loro ricette, ma le suppellettili del museo tradiscono l'origine contadina dei girovaghi: la zangola per il burro, boccali di legno e macinini, ghiacciaia in rame per gelati, un porta ricotta, una boccia per l'acqua, pentole e un attrezzo per tagliare la polenta a fette. Sul finire dell'Ottocento il mestiere di Orsante diventa difficile da sostenere, così molti tornano a casa poveri come prima, altri riescono a comprare un podere, ma molti parmigiani rimangono all'estero, soprattutto in Inghilterra, vendendo gelati, caldarroste e pesce fritto. I più intraprendenti con i buoni guadagni riescono ad aprire piccoli negozi nelle maggiori città del Regno Unito. Alcuni invece diventarono famosi, come Paolo Bernabò, che nel 1843 diede in Grecia lo spettacolo ufficiale in occasione della dichiarazione d'indipendenza, o Giovanni Volpi, che si trasferì in America dove i suoi discendenti lasciarono il circo per le giostre e furono tra i fondatori del luna park di New York. Quando la fame aguzza l'ingegno.
Laura Maragliano
marzo 2023