Dopo oltre 20 anni l’etichetta del miele cambia, in tutta la Ue. E si arricchisce di nuove informazioni, a cui i consumatori sono sempre più interessati. A partire dall'indicazione dell’origine di questo prodotto, che è un autentico globetrotter. Basti pensare che oltre la metà di quello usato in Italia arriva dall’estero perché la produzione nazionale non è sufficiente da sempre e, perdipiù, continua a diminuire. Ora sarà più chiaro scoprire da dove arriva. Ma è così importante saperlo?
A dispetto della sua immagine di alimento naturale, sano e benefico, il miele è uno dei prodotti a maggior rischio di adulterazioni e di frodi, come ha riconosciuto anche la Ue. A partire dall’origine: spesso il miele arriva da posti diversi da quelli indicati sull’etichetta. È una forma di concorrenza sleale da parte di alcuni Paesi della Ue, che acquistano miele extracomunitario (perlopiù dalla Cina) e lo miscelano con quello nazionale, facendolo così diventare “europeo”. E questo miele viene spesso venduto al supermercato o utilizzato nell’industria alimentare come ingrediente di tanti prodotti. Cosa lo rende tanto appetibile? Il fatto che costa poco. Un chilo di miele importato costa in media 3,8 euro contro i 4,5 euro di quello italiano (fonti Fai e Istat), i cui costi di produzione sono in continuo aumento. Alla luce dello stretto legame tra la bontà del miele e la sua origine, la Ue ha ritenuto che il consumatore non debba essere indotto in errore sulla qualità del prodotto. Finora in etichetta era obbligatorio solo specificare l’origine italiana, comunitaria o extra-Ue del miele. Ma le diverse regole adottate su questa base dagli Stati membri potrebbero aver indotto in errore i consumatori. Con la nuova direttiva Ue, invece, le regole diventano le stesse per tutti: sui vasetti si dovrà indicare il Paese preciso in cui è stato raccolto e, nel caso di mieli miscelati, vanno elencati i diversi Paesi di origine, in ordine decrescente in base alla loro quota percentuale sul peso del miele.
L’indicazione del paese d’origine potrà aiutare anche a combattere la piaga dell’adulterazione del miele e a tutelarne la sicurezza. Un problema diffuso: si ritiene che il 30% del miele commercializzato nel mondo sia addizionato con sciroppi zuccherini. Una pratica vietata perché il miele può essere definito tale solo se non si aggiungono altre sostanze o ingredienti. Il “taglio” del miele con sciroppi di zucchero è comunque molto praticato in diversi paesi extra-Ue, perché permette di ottenere più prodotto e di venderlo a prezzi molto bassi, ma che è difficile da identificare anche attraverso metodi analitici sofisticati. Le aziende italiane che confezionano il miele e che aderiscono a Unione Italiana Food sono rassicuranti: dichiarano di utilizzare solo i mieli migliori per assicurare un prodotto di qualità sia dal punto di vista organolettico (ad esempio per gusto e colore) sia da quello della sicurezza alimentare anche a prezzi accessibili. L'accesso a informazioni dettagliate e complete sull'origine e sulla composizione del miele rende più semplice anche per i laboratori di analisi del miele verificare l'indicazione geografica riportata sulla confezione del miele e individuare le eventuali frodi.
Anche sul fronte della salubrità questi mieli low cost d’importazione possono essere problematici perché provengono da paesi terzi che, in gran parte, non rispettano le normative Ue in tema di impatto sull’ambiente. Esplicitare l’origine del miele in etichetta garantisce una maggiore trasparenza anche sul fronte della sostenibilità. E contribuisce a salvaguardare le api, custodi di un patrimonio genetico secolare.
Un altro motivo per preferire il miele giovane e che non ha viaggiato a lungo è il fatto che questo dolce nettare invecchia e, mese dopo mese, cambia profumo e sapore. E quindi perde qualità. Questa degradazione del prodotto avviene naturalmente ma si accelera se il miele viene conservato a temperature elevate, come avviene nei paesi tropicali. Una ragione in più per preferire il miele che ha fatto meno strada e che è stato confezionato da meno tempo. Come capirlo? Cercando sulla confezione la data di confezionamento (facoltativa ma indicata dai produttori più seri) oppure il termine minimo di conservazione, preferendo il prodotto con la data più lontana (di solito va dai 18 ai 24 mesi).
Manuela Soressi,
marzo 2024