Avete mai pensato di servire un risotto ai funghi o un pollo arrosto con un buon bicchiere di sake al posto del vino?La proposta, un po’ scioccante per noi italiani pur in tempi di cucina fusion, arriva ovviamente da un giapponese. Anche se Hidetoshi Nakata non è un giapponese qualsiasi.
Ex calciatore di livello (è inserito nella Fifa 100, la classifica dei migliori giocatori viventi), ha vissuto in Italia per molto tempo, giocando nel Perugia, nel Parma e nella Roma del 2001, anno dello scudetto. Oggi è tornato in Giappone, per studiare più a fondo la tradizione e la cultura nipponica e diffonderla nel mondo. E in Italia naturalmente, Paese di cui conosce bene lo stile di vita e la cucina.
“In Giappone il sake si beve a tutto pasto, esattamente come qui il vino, fresco o a temperatura ambiente, caldo molto più raramente” spiega Hidetoshi. “A seconda del tipo di riso con cui è prodotto, dell’acqua e delle condizioni climatiche, assume sfumature di gusto decisamente diverse. Mi sono reso conto che all’estero lo si conosce poco e soprattutto che si consuma un sake standard, di qualità non troppo alta”. Hidetoshi Nakata ha fatto una ricerca su tutto il territorio e ha stilato una very best selection di sake di qualità che comprende 33 bottiglie. Bottiglie che finora non varcavano i confini del Giappone, ma che invece vale la pena di assaggiare.
“Noi accompagnamo spesso il sushi con il vino o la birra" continua Hidetoshi. "Perché allora provare ad accostare il sake a un menu tutto italiano? Ha un gusto delicato, pulito, in alcune tipologie leggero e profumato, in altre più maturo e complesso. I cibi a cui si abbina meglio sono quelli che sollecitano i recettori del gusto umami sulla lingua. Quindi salumi, formaggi (grana e parmigiano, gorgonzola) ma anche carni arrosto, funghi, pancetta, frutti di mare, bottarga”.
Il sake è di fatto un vino di riso, che si ottiene tramite una fermentazione multipla parallela. Si fa cuocere a vapore una varietà di riso specifica (come per l’uva, c’è un riso da tavola e uno da sake). Poi si avvia la fermentazione, prima tramite un fungo (koji) e successivamente con un lievito. Il koji trasforma l’amido in zucchero e il lievito muta lo zucchero in alcol. Oltre all’acqua, questi sono gli unici ingredienti della bevanda.
Le sfumature di gusto variano a seconda della qualità del riso e di quella dell’acqua, del tipo di lievito, del clima e da piccolissime differenze di lavorazione. Come in ogni cantina che si rispetti, il tohji (il produttore) dà un’impronta specifica alla propria etichetta. E come per il vino, i prezzi possono variare da 10 a 300 euro la bottiglia. Bottiglie di una certa qualità vanno da 30 euro in su. Anche se qui l’invecchiamento non c’entra. Il sakè non lo richiede e quello che si consuma ha di solito circa un anno.
Già, ma come si fa scegliere la marca e il produttore? Niente paura, c’è già pronta una App per I Phone disponibile in italiano e in inglese. Sakenomy (conoscenza del sake) fornisce informazioni su circa 6000 etichette. In più consente di attivare una funzione memo per tenere traccia dei sake degustati.
Sakenomy pre Expo è anche un’occasione di assaggio: fino al 19 aprile, durante il Salone del Mobile di Milano, all’interno della Tokyo Design Week diversi tipi di sake verranno servitio dagli stessi tohji presso un bancone bar (nella foto). Invece durante l’Expo il sake entrerà a far parte della carta dei vini di alcuni ristoranti e bistrot di Milano, dal Four Season’s al D’O di Oldani, dal Finger’s allo Swiss Corner. Con abbinamenti, si immagina, d’eccezione.
Poche le regole per la degustazione. "Le tipologie più profumate e fruttate si servono fredde come un bianco, sake di personalità inferiore possono essere caldi" spiega Hidetoshi. "Va benissimo un calice da vino, meglio se con imboccatura stretta per trattenere il profumo. E ancora, come per il vino, il sakè va prima guardato, per osservarne la sfumatura di colore e la limpidezza; poi ne si aspira il profumo facendolo roteare nel bicchiere; e infine assaggiato, lasciandolo tra lingua e palato il tempo sufficiente perché riveli appieno le sue sfumature".
Barbara Galli
16 aprile 2015