Razza stellata, muggine, murena, boga, alaccia, mostella, menola. E poi sugarello, potassolo, aguglia. Non li avete mai sentiti nominare? Allora armatevi di un po' di sana curiosità e andate a cercarli al mercato perché queste specie salveranno il nostro mare. E il nostro portafogli.
Si tratta delle specie nostrane, azzurre, buone, di gran pregio alimentare ed economiche. Si trovano infatti intorno ai 5 euro al chilo, anche se bisogna tener presente che dipende dalla località (sud e nord Italia, Tirreno ed Adriatico hanno pesche e prezzi ben diversi) e dalla taglia del pesce: nella stessa specie, più l’esemplare è piccolo, più è economico. Certo, i piccoli danno più lavoro, ma il sapore è migliore.
Il fatto che il pesce grande, di cui si mangiano le ‘bistecche’, sia più pregiato, fa parte dei miti da sfatare sul mondo ittico. Tra l’altro i pesci poveri sono tendenzialmente al riparo dagli additivi, più o meno leciti, di cui invece in generale il pescato è molto più ricco di quanto non ci piaccia immaginare, per farlo apparire sempre fresco o coprirne i difetti (ecco poche regole sicure per acquistare pesce fresco). Non solo: spada, tonno &c sono molto più carichi di contaminanti e metalli pesanti.
Inoltre i pesci ‘poveri’ possono contribuire a ridurre la pressione sulle specie più sfruttate e conosciute e quindi a migliorare la salute complessiva della fauna mediterranea che è la ricchezza dei nostri mari.
Tra l’altro negli ultimi anni
il consumo di pesce non fa che aumentare. A livello mondo, secondo la FAO il consumo di pesce è al massimo storico e i prodotti ittici continuano ad essere le derrate più commerciate (+9% rispetto al 2007). E indovinate in
quale Paese avviene il maggior consumo al mondo? In Italia! Gli italiani mangiano pesce una volta alla settimana e ne mangiano
28 chili pro capite all’anno (pari solo al Sudafrica e contro i 25 kg di media europea); il consumo sale inesorabilmente (+2,3% nel 2017, dati Ismea).
A rivelare il nostro primato mondiale è stata una recente ricerca del Marine Stewardship Council, l’organizzazione no-profit che ha creato il marchio ‘Blu’ per certificare la pesca sostenibile. Marchio sempre più conosciuto dagli italiani che, secondo un sondaggio commissionato da Greenpeace, sono ampiamente disposti (77% degli intervistati) a pagare di più se il pesce è ‘sostenibile’. Questo vale senz’altro per tonno, merluzzo, acciughe e pesce spada, a rischio per via di una pesca eccessiva e distruttiva. Ma per le specie di cui stiamo parlando, si può essere eco-consumatori senza pagare di più, anzi facendo sorridere il nostro portafogli.
Il pesce dei nostri mari non basta e dunque
importiamo dall’estero da dove provengono i molluschi (Spagna in particolare); le conserve di tonno e palamita;
le carni congelate e anche tritate di pesci come tilapia, carpa, pesce gatto, pangasio, persico africano e simili - i prodotti ittici tipici del “ready to eat” tipo hamburger di pesce del supermercato e della ristorazione, quella della mensa ma anche del ristorantino lungomare che propone il classico filetto di ‘pesce fresco’ proveniente dal Mekong (mentre voi magari pensate di mangiare uno spada pescato nello Stretto di Messina)…
Ma con tutti i pesci nostrani, squisiti e super-economici che abbiamo!!!
Daniela Falsitta,
5 agosto 2014
aggiornato da Stella Rita
luglio 2018