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Cucinare è un atto di amore

News ed EventiNewsCucinare è un atto di amore

Mettere la mani in pasta fa bene al cuore ed è un desiderio che viene dall'anima. Lo raccontano le storiche home economist di Sale&Pepe

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Cucinare è come andare in scena. Se lo sguardo dei commensali ci gratifica, spegnendo l'inevitabile leggera ansia dovuta alla preparazione dei piatti (sarò all'altezza? Ho tenuto conto delle preferenze di chi si è seduto alla mia tavola?), aumenta l'autostima, come in ogni scambio d'amore che si rispetti. E c'è chi cucina da anni per un pubblico speciale, sensibile ed esigente come quello di Sale&Pepe. Sono le home economist, chiamate anche food stylist, l'anima nascosta del giornale. Lo fanno da oltre trent'anni. Per amore, per passione, per senso del dovere: sono mille le motivazioni. Sono abili chef, ma senza l'egocentrismo delle star. Ebbene, anche per queste professioniste del dietro le quinte, impegnate in un lavoro artistico-creativo con precisione artigianale, cucinare è un atto d'amore.

Sotto l'occhio attento del fotografo, Alessandra Avallone, Antonella Pavanello, Claudia Compagni, Livia Sala tagliano, impastano, infarinano, infornano, assaggiano. Pratiche che accompagnano la civiltà fin dai primordi e spesso costituiscono, nell'apparente semplicità, rituali di cultura materiale dai contenuti sacri. Le home economist sanno bene che cucinare per gli altri, come faranno i destinatari del loro lavoro, cura l'anima, il cuore, la mente, aiuta a sedurre, favorisce l'intimità fisica e mentale, fa sentire utili. E implica capacità organizzativa, investimento emotivo ed economico. I loro suggerimenti sono preziosi. Permettono di portare in tavola prelibatezze per figli, parenti, amici, colleghi, dai quali ci si aspettano consensi.

Alessandra Avallone, ci vuole spirito e cervello

 È come una "cura" "Faccio questo lavoro da 35 anni, ho cominciato a scrivere ricette quando ancora studiavo Agraria all'università", dice la milanese Alessandra Avallone. "Non ho mai preparato cibo finto, solo da fotografare, mi farebbe orrore. Per essere bello, un piatto deve essere anche buono e poi sono convinta che manipolare gli ingredienti faccia bene. Mi occupo di fermentati, fiori, foraging. Ho cucinato a lungo per il mio compagno, che è mancato. Ora lo faccio per volontariato, in un centro di meditazione". Ha ragione Alessandra: manipolare fa bene. Gli effetti positivi di mettere le mani in pasta, ungersi, cospargere di erbe aromatiche, punzecchiare carni sfrigolanti li avvertiamo subito sull'umore. E sono stati riscontrati dalla scienza su soggetti autistici, ragazze anoressiche, giovani con disagio psichico. Così come tutti sappiamo quanto il comfort food (vedi carboidrati e dolci) possa consolare, combattere lo stress emotivo, ma anche diventare un'arma a doppio taglio se si eccede.

Antonella Pavanello, una passione ricevuta in eredità

Antonella Pavanello, anche lei milanese, cucina, oltre che per lavoro, per i suoi figli. "Ne ho tre, grandi. Al sabato preparo per loro e per mio marito, art director che mi indirizzò verso il mestiere della home economist. Amo i primi, le insalate, l'agrodolce: una cucina estemporanea. Ho inventato Fast and Furios, tre menu in tre ore, in una serata". Da dove è nata la passione per questo atto d'amore ripetuto? Dice Antonella: "dalla mamma, brava cuoca. Alle medie ero già capace di prepararmi una pasta. Una volta mi cadde l'occhio su una pagina dell'enciclopedia Curcio. C'era la ricetta di una zuppa tedesca con albume d'uovo e volli provare. Un disastro, buttata via. Il mio punto di riferimento di oggi è Diana Henry, gastronoma inglese che propugna cose semplici, con tocchi originali, formati di pasta insoliti, verdure tagliate diversamente".

Claudia Compagni, chi ce l'ha nel DNA

"Io il primo piatto lo feci alle elementari: le crêpes dal Manuale di Nonna Papera", dice Claudia Compagni, milanese del 1965. "In casa c'era mia nonna, cucinava tradizionale. Papà faceva piatti estrosi, mamma il pesce. Con un dna simile non avrei potuto fare altro lavoro che il mio. Addirittura lasciai medicina dopo cinque anni per darmi al catering. Da home economist ho diviso a lungo lo studio con mio marito fotografo, anche lui della brigata. In cucina mi piace la spontaneità, sperimentare, intervenire con le mani. Fuori dal lavoro, invece, che mi impegna anima e corpo, cucino poco. Preferisco farmi invitare e coccolare dagli amici, assaggiare quello che fanno gli altri".

Livia Sala, la scuola del less is more

Si dichiara minimalista Livia Sala, nata a Novara, naturalizzata milanese. "Nelle ricette meno c'è, meglio è. Vengo da una famiglia non attaccata alle tradizioni, l'unico piatto che ricordo è la torta alle nocciole di mamma. Eppure la passione per questo lavoro è esplosa che ero ancora ragazza. Sfogliavo le riviste di cucina cercando di capire chi ci fosse dietro, chi inventava e preparava i piatti, chi li fotografava. Ora lo so, lo faccio io da tanti anni. Una professione che ho cominciato a praticare quando ancora studiavo scienze e tecnologia all'università". Con lei si conclude questo excursus di storie diverse, ma tutte con lo stesso punto di arrivo: un grande amore vissuto e regalato nel cucinare.

Roberta Schira,
settembre 2023

TAG: #cucinare

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