Nei Paesi del nord Africa, dal Marocco alla Libia, passando per la Tunisia, l’Algeria e la Mauritania, il tradizionale piatto a base di semola cotta a vapore, servita con intingoli speziati di carne, pesce, verdure o frutta secca, non manca mai il venerdì, giorno di festa nei Paesi musulmani, né in occasione di feste e raduni familiari. Il suo nome in arabo e nelle lingue berbere (kuskus, kusksi, kesksu, seksu) cambia secondo il Paese o la regione, mentre la denominazione cous cous sarebbe stata introdotta dai francesi. Secondo il giornalista maghrebino Abderrahim Bargache deriverebbe dal suono “kes kes” emesso dai braccialetti che le donne berbere indossavano mentre lavoravano i chicchi nel tradizionale piatto di terracotta, il gsaa kasria. Teorie etimologiche a parte, è fuori dubbio che il cous cous venisse già cucinato nel IX secolo, come dimostrano i reperti di couscoussiere in terracotta, ritrovati nella regione di Tiaret in Algeria.
Dov’è nato veramente?
Ben più controversa è la questione delle sue origini effettive, che secondo alcuni studiosi come Monique Chastanet, sarebbe riconducibile a una serie di piatti unici presenti ancora oggi nell’Africa subsahariana in Senegal, Mauritania, Gambia, Burkina Faso, Camerun e Costa d’Avorio: parliamo del thieré, dell’attieké, del thieboudjen, solo per citarne alcuni, e di diversi piatti assai simili come concetto, riconducibili al cous cous maghrebino. L’esploratore Ibn Battuta (XI secolo), che ne parlò nei suoi memoriali di viaggio, ne avrebbe gustate diverse versioni a base di miglio, fonio e sorgo dal Niger all’Essouk Tadmekka in Mali, dove sono stati trovati altri reperti di couscoussiere di terracotta risalenti al IX secolo. La diffusione di questi piatti unici verso i Paesi del Maghreb sarebbe avvenuta grazie agli scambi commerciali e al contatto con alcune popolazioni nomadi come i Soninké, ma soprattutto grazie ai pellegrinaggi verso la Mecca, nei caravanserragli che accoglievano queste genti. Nel suo cammino verso l’Occidente islamico, la semola di grano avrebbe preso il posto di altri subcereali africani e le ricette si sarebbero modificate in base ai gusti e ai prodotti locali.
La diffusione in Europa
Se verso oriente il cous cous ha come limite geografico il Golfo della Sirte in Libia, lo ritroviamo però in diverse altre aree dell’Europa mediterranea, specie in Francia (grazie alla lunga dominazione nel Nord Africa) e in Italia. Una credenza diffusa è che sia stato introdotto in Sicilia dagli Arabi durante gli oltre 250 anni di dominio dell’isola, tra il IX e l’XI secolo, ma se così fosse troveremmo tracce del suo consumo nelle varie province siciliane, mentre invece il suo utilizzo è circoscritto alla sola provincia di Trapani. In realtà il cous cous è stato adottato dai pescatori di Marsala e Mazara del Vallo grazie alla compresenza sui pescherecci di questa zona di maestranze tunisine, che accesero un interesse verso questa loro variante: a base di semola cotta al vapore e di una densa salsa aromatica che si sprigiona da un ricco bouillon a base di pesce (seksou bil hout). Pellegrino Artusi cita poi il cous cous fin dalle prime edizioni del suo ricettario (fine XIX secolo) e ne parla come di una pietanza presente da Roma a Livorno, grazie alla diaspora ebraica. A Carloforte sarebbe invece sbarcata grazie ai Carlofortini-Tabarkini, che l'avevano importata dall’isola di Tabarka nella sua versione precolombiana, in bianco, senza il pomodoro, come usa ancora in alcuni villaggi berberi della Cabilia, in Algeria.
Italia e Francia: le nuove patrie
Oggi il cous cous è il piatto nordafricano più amato dagli italiani, anche grazie alla presenza delle comunità maghrebine che si concentrano a Torino, Milano, Roma e Genova, con le loro couscousseries. Nondimeno è apprezzato in Francia dove è considerato una specialità della cucina nazionale d’oltremare ed è sul podio dei piatti più apprezzati con tante specialità di quella cuisine pied-noire, dal cous cous royale al tabulé, che dopo l’esperienza coloniale in nord Africa ha sedotto i francesi. Il cous cous è proposto in infiniti bistrot e trattorie maghrebini, ma anche in ristoranti raffinati come Le Mansouria di Fatéma Hal (l’intervista a Fatéma Hal è a pagina 16 del nostro magazine di agosto che trovate in edicola), a Parigi, considerato, il miglior ambasciatore in Europa del cous cous e della cucina marocchina.
agosto 2021
a cura di Cristiana Cassé
foto di Francesca Moscheni
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