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Impronta idrica: quanta acqua serve per produrre il cibo?

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Per 1 kg di pasta servono 1.924 litri di acqua, per la lattuga quattro volte di più. Le abitudini alimentari incidono in modo sostanziale sull’uso dell’acqua. Ma qual è allora l’impronta idrica dei cibi che mangiamo?

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Ha appena compiuto 20 anni: è stato, infatti, nel 2002 che è stato formulato per la prima volta il concetto di “impronta idrica”, l’indicatore ambientale che misura, in ogni fase della filiera, il volume totale di acqua dolce, utilizzata o inquinata, per realizzare un prodotto.

Uno strumento scientifico importante, perché valutare l’uso diretto e indiretto di acqua aiuta a comprendere, migliorare e gestire questa preziosa e non inesauribile risorsa. L’impronta idrica è fondamentale soprattutto nel mondo alimentare, visto che l’agricoltura utilizza il 90% dell’acqua dolce e che, dunque, le abitudini alimentari incidono in modo sostanziale sull’uso dell’acqua. Ma qual è allora l’impronta idrica dei cibi che mangiamo?

Quanta acqua serve per produrre?
Misurando l’impronta idrica gli studiosi hanno scoperto che per un kg di pasta secca prodotta in Italia sono necessari, in media, 1.924 litri d’acqua e per una pizza da 725 grammi ne servono in media 1.216 litri. Ma questi numeri possono avere un impatto concreto diverso, perché le gocce d’acqua usate in agricoltura non sono tutte uguali: possono provenire da acqua piovana (che ha un impatto ambientale molto basso o vicino allo zero), oppure da acqua di bacini superficiali (come fiumi o laghi) oppure da acqua sotterranea che viene pompata e utilizzata per irrigare. Di conseguenza, l’impatto idrico dipende anche dal contesto in cui l’acqua è stata prelevata e utilizzata. Ad esempio, è maggiore per il grano duro coltivato in Sicilia, poiché viene irrigato con l’acqua prelevata da falde sotterranee sovrasfruttate, mentre è minore per la produzione non irrigua di riso in Piemonte, che ha un impatto ambientale molto basso. Per questo, con il passare degli anni, il calcolo dell’impronta idrica è stato reso più preciso grazie alla distinzione tra diverse forme di acqua: quella verde proviene dalla pioggia utilizzata nella coltivazione, quella blu è usata soprattutto per l’irrigazione e proviene da fonti idriche sotterranee oppure superficiali mentre l’acqua grigia è quella necessaria per ripristinare o diluire una contaminazione idrica. In linea di principio un’impronta idrica che impiega una maggiore quantità di acqua verde è più sostenibile di quella che presenta una quota maggiore di acqua grigia o blu. Quindi, la sostenibilità di un determinato prodotto agricolo non dipende solo dalla quantità di acqua coinvolta nella sua produzione ma anche dal peso dei tre diversi tipi di acqua.

Risparmiare acqua con la dieta giusta
Per produrre un kg di prodotti di origine animale servono in media 2,5 litri di acqua; quelli di origine vegetale circa 0,5 litri. Considerando che, secondo la Fao, nei paesi occidentali, stima la Fao, circa il 30% delle calorie introdotte ogni giorno proviene da alimenti di origine animale, come carni (bovine, suine e avicole), pesce, latticini e uova, gli studiosi hanno calcolato che quest’alimentazione richiede 3.600 litri d’acqua al giorno contro i 2.300 litri di una dieta vegetariana, che includa anche i latticini. In altre parole, riducendo carni, uova e pesce si taglierebbe del 36% l’impronta idrica della dieta. Ma studi più recenti, citati dal Crea, hanno rivelato che se si sostituisce parte della carne con verdura e frutta ottenute da colture irrigue, in realtà il consumo complessivo di acqua nella dieta non varia in modo sostanziale. Una ricerca italiana ha evidenziato che, passando da una dieta onnivora a una vegana, si risparmia solo il 14% di acqua, ma che questo dato andrebbe rivisto alla luce dell’impatto idrico degli integratori alimentari assunti in questo tipo di dieta. Quel che sembra certo è che più si diventa selettivi nella scelta del tipo di carne, più il risparmio di acqua aumenta. Ad esempio la carne avicola richiede meno acqua rispetto a quella rossa. Ma anche le carni bovine non sono tutte allineate: siccome è il foraggio a richiedere il maggior quantitativo di acqua, quelle ottenute da bestiame allevato al pascolo ha un impatto idrico di gran lunga inferiore rispetto quella proveniente da bestiame che si nutre di foraggio ottenuto da campi irrigati.

Volete calcolare la vostra impronta idrica?
Sul web ci sono diversi strumenti gratuiti che consentono di misurare l’impronta idrica di quel che si acquista e si consuma. Grazie a WWF Italia, Università della Tuscia, II Università di Napoli e Mutti, sul sito http://www.improntawwf.it/carrello si può ottenere lo scontrino della spesa non espresso in euro bensì in metri cubi di acqua consumata e di emissioni di anidride carbonica prodotte.  Altri calcolatori sono presenti nella sezione interactive tool del sito del Water Footprint Network (www.waterfootprint.org). Hanno diversi livelli di approfondimento: nella forma più semplice basta inserire la nazione, il tipo di dieta e la spesa media annuale per il cibo, mentre in quella più strutturata occorre specificare quali alimenti si consumano e con quale frequenza e specificare anche il consumo domestico di acqua.

Manuela Soressi
marzo 2023

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