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Alla ricerca della nuova uva light

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Botanici in corsa per selezionare i nuovi grappoli di uva made in Italy a basso tenore zuccherino, per vini low alcohol e diete ipocaloriche

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La frutta fa ingrassare e l’uva è tra le varietà più incriminate a causa dell’alto tenore zuccherino. Chi deve perder peso o è diabetico dovrebbe consumarne poca perdendo l’occasione, però, di fare il pieno dei sali minerali e degli oligoelementi di cui è ricca e che sono molto salutari. Così come fa bene un quartino di vino, ma le nuove e servere regole della strada rendono complicato mangiare e bere bene senza autista astemio al seguito.

Ecco perché selezionare nuove varietà d’uva a basso tenore zuccherino, e magari pure senza semi per andare incontro a consumatori esigenti e a tratti sempre più schizzinosi, è un must. Lo ha spiegato al Vinitaly Donato Antonacci, direttore dell’unità di ricerca del Cra (Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura), come riporta l’Ansa, indicando come la nuova uva light 100% made in Italy attualmente coltivata nei campi sperimentali, rappresenterebbe “un’importante leva per affrontare le sfide del mercato internazionale e far tornare i conti in azienda”.

Problemi di sovrappeso e di glicemia a parte, la riduzione della quota di glucosio dal 18% (il valore medio attiuale) al 10-12% (l’obiettivo) consentirebbe anche di produrre un vino low alcohol, quello che da anni il mercato straniero, anglosassone in primis, chiede con insistenza. Basti pensare al Regno Unito che da tempo chiede alla Ue di abbassare il titolo alcolometrico minimo per denominare una bevanda “vino” dall’attuale 8,5% allo 4,5%, come la birra.

Comunque, abbassare il tenore alcolico del vino ex post costa molto e spesso non dà buoni risultati. Produrre invece un vino di buona qualità intrinsecamente light, come renderebbero possibile le nuove uve light, rappresenta evidentemente una scelta più naturale e a minor impatto ambientale. C’è chi per mantenere basso il tenore zuccherino delle uve appena raccolte utilizza metodi ingegnosi e naturali, per esempio coprendo i grappoli con ghiaccio secco per evitare la preossidazione, come la produtttrice sarda Argiolas delle omonime cantine. Ma per un risultato pregnante occorre intervenire alla fonte, sulla pianta. E continuare la ricerca in corso di “fecondazione assistita” della pianta – ha spiegato Antonacci -  ovvero di demascolizzazione della fioritura con susseguente inserimento del polline del padre selezionato. In pratica un miglioramento genetico ottenuto per semplici incroci che è l’antitesi dell’approccio Ogm, e l’anticamera per portare più salute in tavola e nel bicchiere. Sull’eccellenza del prodotto enologico si potrà discutere solo a sperimentazione terminata e vinificazione avvenuta.

Comprensibilmente perplessi gli intenditori, che sottolineano come non si debba demonizzare l’alcol contenuto nel vino se è proprio questo a garantire la qualità del prodotto e anche la sua stabilità, da un punto di vista economico l’idea alletta chi ha uno spirito più imprenditoriale che gourmand. O semplicemente che pensa di poter continuare a bere ottimamente a casa sua proponendo però a un mercato che lo richiede un prodotto ad hoc (se non d.o.c.). Tenendo conto del fatto che molti Paesi produttori, Nuova Zelanda in testa, si sono buttati sul segmento del low alcohol giocando d’anticipo sui concorrenti, vincolati da normative interne molto più rigide sulla produzione e sulla denominazione dei vini a corretta tutela della qualità (come i Paesi Ue) l’uva light made in Italy ha un notevole appeal.


Silvia Bombelli
9 aprile 2014

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