Dal 2008 a oggi le fattorie italiane si sono spopolate di circa 2 milioni di capi di bestiame: 1 milione tra pecore, agnelli e capre, 850.000 maiali e 250.000 bovini. Il bilancio, tutt'altro che roseo, è stato illustrato con allarme da Coldiretti il 17 gennaio, nella ricorrenza di Sant'Antonio abate, patrono degli allevatori e protettore degli animali.
Si tratta di una crisi dalle molte facce che, se non trova un rimedio, vede come prospettiva la progressiva chiusura delle piccole fattorie a beneficio di allevamenti industriali di grandi dimensioni. Una tendenza che incide notevolmente sulla vita di famiglie dedite da generazioni a questa attività e porta a un mutamento sostanziale del modello economico agricolo.
Ma, oltre a questo, conduce a un inevitabile impoverimento della biodiversità preservata nei tanti allevamenti italiani di piccole dimensioni. Secondo Coldiretti, questo fenemeno mette a repentaglio almeno 130 razze allevate nelle nostre stalle: 38 di pecore, 24 di bovini, 22 di capre, 19 di equini, 10 di maiali, 10 di avicoli e 7 di asini.
Dell'asino romagnolo, per esempio, sono rimasti solo 570 esemplari impiegati nella produzione di latte per uso pediatrico, della capra Girgentana sopravvivono 400 capi per la produzione di piccole quantità di un formaggio come la Tuma ammucchiata. Dei bovini di razza Garfagnina, con mantello brinato e pelle di colore ardesia, rimangono solo 145 capi, mentre di quelli di razza Pontremolese ne sono rimasti appena 46.
Oltre alla biodiversità, il progressivo spopolamento della fattorie mette a rischio anche il presidio del territorio dove la manutenzione è garantita proprio dall'allevamento con il lavoro di pulizia e di compattamento dei terreni svolto dagli animali.
Sul piano economico si profila un un danno di notevoli proporzioni, visto che l'allevamento italiano è un comparto economico che vale 17,3 miliardi di euro, rappresenta il 35% dell'intera agricoltura nazionale e dà lavoro a 800.000 persone.
Inoltre, il declino che si sta manifestando aumenta la dipendenza dall'estero: ora l'Italia importa il 42% del latte che consuma, il 40% della carne di maiale e bovina, il 30% di quella ovicaprina e il 10% della carne coniglio. Questo porta a gonfiare il fenomeno della concorrenza sleale del "finto Made in Italy". Dice in proposito il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo: "Gli inganni del finto Made in Italy sugli scaffali riguardano due prosciutti su tre venduti come italiani, ma provenienti da maiali allevati all'estero. Ma anche tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro che sono stranieri senza indicazione in etichetta, e la metà delle mozzarelle che sono fatte con latte o addirittura cagliate straniere".
Alessandro Gnocchi
19 gennaio 2015