Una volta era solo intero o scremato – o, la massimo, “parzialmente”. Adesso l’offerta di latti si è ampliata e variegata. Ma chi garantisce la qualità? E soprattutto: chi garantisce la qualità del latte alla base del formaggio che mangiamo? È proprio a questo scopo che è arrivato il marchio Latte Nobile.
Tutto ha origine nel 1995, quando nasce l’Anfosc, Associazione nazionale per la valorizzazione e tutela dei formaggi ottenuti con latte di animali da pascolo. Se di nuovi marchi, garanzie, consorzi e associazioni di produttori comprensibilmente spesso non si ha nemmeno più voglia di sentir parlare, in questo caso può valere la storia, perché quest’associazione senza fini di lucro ha a che fare con la qualità di ciò che mangiamo, ma anche con quella della vita degli animali grazie ai quali lo facciamo. Li chiamano “Formaggi sotto il cielo”, che vuol dire formaggi prodotti da animali che vivono al pascolo, all’aria aperta, mangiando ciò che più loro aggrada.
Qualità del latte non è solo una questione di apporto proteico e di grassi (nel Latte Nobile prevalgono quelli insaturi) ma di equilibrio tra le varie sostanze chimiche ed elementi nutrizionali acquisiti grazie all’ingestione delle varie erbe da parte degli animali. Trifoglio, lentischio, veccia, cumino e menta selvatica, erba medica, lupinella, fleo… ogni erba apporta un contributo diverso di vitamine, omega, antiossidanti, e poi ancora terpeni, polifenoli, flavonoidi, alcoli… e conferisce al latte particolari odori e sapori. Più erbe mangia un animale, più il latte si arricchisce a livello aromatico e nutrizionale. Ben diversi è ciò che arriva dall’allevamento intensivo e dai mangimi concentrati, che danno origine a un latte ben più scadente, sulla cui composizione e qualità chi produrre formaggi ha ben poco controllo.
Il progetto “Latte nobile”, promosso dall’Anfosc, appunto, garantisce controlli e parametri di qualità: viene identificato un modello di produzione, messo in atto seguendo uno specifico disciplinare. Ecco i punti-chiave sono: animali che vivono in un ambiente integro; alimentazione a base di erbe – minimo 5 diverse - e fieno – che va conservato con regole specifiche (non sotto un telone, per esempio, ma in veri e propri fienili), per preservarne la qualità. Pochi mangimi, con un rapporto erba/foraggi concentrati di 70/30, ovviamente no OGM.
"Un impegno ben diverso rispetto a quello dei latti di Alta Qualità, che sono frutto degli allevamenti intensivi e che presentano ben pochi nutrienti oltre alle proteine e ai grassi. Negli ultimi anni, in effetti, la qualità del latte e dei formaggi non ha fatto che abbassarsi – tolte le produzioni artigianali, ovviamente. Il mercato è saturo, i prezzi al ribasso". Secondo Roberto Rubino, presidente di Ansosc, è l’ora di stabilire delle classi di qualità dei formaggi, che considerano il tipo di allevamento e in particolare d’alimentazione dell’animale che ha prodotto quel latte.
Perché dietro ogni formaggio di qualità c’è un pascolo diverso: l’alimentazione dell’animale – e le erbe in particolare - sono il fattore numero uno che influenza la qualità nutrizionale e organolettica del latte. Poi, ovviamente, c’è la tecnica di lavorazione - certo la qualità è più alta nel latte crudo che in latti sottoposti a termizzazione – e ci sono altri fattori d’importanza minore. Ma cosa mangiano la mucca, la capra, la bufala, la pecora che ci danno il latte determina come sarà il formaggio che da quel latte nascerà.
Carola Traverso Saibante
dicembre 2016