Arriva il “2x1” in Ferrarelle. No, non si tratta della solita campagna di sconti a cui ci hanno abituato i supermercati ma di un progetto improntato alla sostenibilità ambientale. Grazie al nuovo impianto per il recupero della plastica, l’azienda è in grado di produrre bottiglie in PET riciclato: ogni due recuperate ne può essere prodotta una nuova. Il conto alla rovescia per l’arrivo sul mercato delle bottiglie di Ferrarelle ottenute per il 50% da PET di riciclo, è già cominciato. Serve solo l’ultimo nullaosta dall’EFSA (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare), che dovrebbe arrivare entro fine 2019. Sul progetto “bottle to bottle” Ferrarelle ha investito tanto (34 milioni di euro solo per il nuovo impianto) e ha pensato in grande: la struttura di Presenzano, in provincia di Caserta, non soddisfa solo le necessità dell’azienda, ma realizza plastica riciclata anche per altri usi (dall’edilizia all’abbigliamento, dall’ecopelle agli oggetti d’arredamento) e ha una capacità produttiva pari al doppio del PET che Ferrarelle utilizza in un anno.
La novità: bottiglie riciclate e “home made”
La scelta di Ferrarelle è pionieristica per il mondo del food, e non solo italiano. Nessun’altra azienda delle acque minerali ha un impianto proprio per gestire il ciclo integrato del recupero del PET. A Presenzano arrivano rifiuti plastici provenienti dal circuito della raccolta differenziata di tutta l’Italia. Qui, dopo averli opportunatamente selezionati e trattati, si ottengono bottiglie nuove, costituite al 50% da PET riciclato (il cosidetto R-PET). Oltre per ora non si può andare perché la legge italiana è più rigida che in altri Paesi europei. Ma l’obiettivo è di alzare questa soglia, com’è consentito in tanti Paesi europei.
Dal cassonetto alla tavola (e viceversa)
Sembrano installazioni di “pop art”, i grandi cubi di bottiglie di bevande, schiacciate e compresse, provenienti dal circuito della raccolta differenziata e ammassati nel cortile esterno dello stabilimento di Presenzano. Guardandoli è difficile pensare che se ne possa ricavare qualcosa di buono. Eppure è così. Tutto parte da una premessa: il PET (polietilentereftalato) è interamente recuperabile e oggi in Italia ha un tasso di riciclo del 40% circa. Ma la legge italiana pone dei limiti all’uso del PET di “seconda mano”: può rappresentare al massimo il 50% massimo dei nuovi contenitori in PET. Ecco perché le nuove bottiglie dell’acqua Ferrarelle saranno composte solo per metà da R-PET. Ed ecco perché questo stabilimento non serve solo a soddisfare le necessità dell’azienda ma realizza materie plastiche di recupero destinate ad altri usi, alimentari e non. In effetti il flusso di PET in entrata è sostanzioso: solo nei primi sette mesi del 2019 sono state 4.500 tonnellate che, a regime diventeranno 23mila. Ossia l’equivalente di 800mila bottiglie in plastica riciclata ogni anno.
Cosa c’è dietro una bottiglia di R-PET
Il viaggio del PET nello stabilimento è forzato: si parte con la separazione delle etichette e con un prelavaggio, per passare poi alla selezione del materiale per eliminare quelli “indesiderati”. A questo punto il PET selezionato viene macinato in mulini ad acqua. Se ne ottiene una scaglia, simile a quella del sapone. Separata quella ottenuta dai tappi (che sono fatti di un materiale plastico diverso dalle bottiglie e sono destinati a usi diversi), quella in PET viene lavata, asciugata, e di nuovo selezionata e controllata. Infine, viene separata per tipologia e colore (esiste un preciso punto di verde, il verde Ferrarelle) e trattata con calore e vuoto per renderla adatta al contatto con gli alimenti. E dopo tutto questo processo, la scaglia di PET riciclato è pronta per essere miscelata con quello “nuovo” per realizzare le preforme, ossia le simil provette (ma di dimensioni maxi) che rappresentano gli embrioni delle nuove bottiglie, prodotte poi nei due stabilimenti di imbottigliamento di Ferrarelle.
Manuela Soressi
ottobre 2019