Gli antichi Romani a gennaio, il primo del mese dedicato al dio Giano, invitavano gli amici per scambiarsi un vaso di miele con datteri e fichi secchi, con l’augurio «Perché l'anno che inizia sia dolce». Ancora oggi i datteri sono tradizionalmente considerati un “lusso” augurale delle feste di fine anno, ma meriterebbero di essere destagionalizzati per le tante qualità nutritive e gastronomiche e per la versatilità d’uso.
Il “pane del deserto”
I datteri sono un integratore naturale di ferro, vitamine e sali minerali (magnesio e potassio soprattutto), sono ricchi di fibre, aiutano ad abbassare il colesterolo e danno energia - e funzionano bene come spezzafame. Alimento nutriente e ipercalorico (eh sì, non bisogna esagerare) il dattero può essere utilizzato efficacemente per combattere la fame nel mondo, tanto che in Africa viene definito il "pane del deserto" o il "dolce dei poveri". Una volta essiccato, può essere comodamente trasportato poiché non necessita di refrigerazione e tende a non ospitare batteri. Sosteneva i marinai arabi durante i loro lunghi viaggi di commercio e scoperta e, più tardi, con il consumo di datteri si riuscì a scongiurare i pericoli dello scorbuto, una malattia da carenza di vitamina C che affliggeva i marinai europei durante i lunghi viaggi.
Nome e mitologia
Il nome scientifico del dattero - Phoenix dactylifera – viene da un'antica nomenclatura greca, derivata dalla Fenicia, la stretta regione costiera che al tempo si stendeva tra il Mar Mediterraneo e la Valle del Giordano (comprenderebbe oggi l'odierno Libano e parti di Siria, Israele e Palestina) e dove la palma da dattero cresceva in abbondanza: per questo i Greci la chiamarono fenice(l'albero della Fenicia) e la palma divenne il simbolo della regione. Figurava sulle monete fenicie (foto sopra) oltre che su quelle cartaginesi, coniate in Sicilia (oggi la palma appare ancora su monete irachene e saudite).
I miti greci associano la palma del dattero alla fenice, l'uccello di fuoco che rinasce dalle proprie ceneri. Scrivendo all'inizio del I secolo d.C., Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia racconta la leggenda dell'uccello fenice, che viveva nel deserto dell'Arabia in un nido di incenso sopra una palma da datteri fino all'età di 500 anni (ce n'era solo uno alla volta), dopo di che l'uccello si sarebbe bruciato e una nuova giovane fenice sarebbe nata. Il mito si diffuse nell'Impero Romano (foto sopra, mosaico ad Aquileia) e in tutto l’Oriente, in particolar modo in Cina.
Quando si dice antico
Le prime testimonianze della coltivazione della palma da datteri, del 4000 a.C., provengono da Ur, nella bassa Mesopotamia(oggi corrispondente a Iran, Iraq e Siria), dove ebbero un ruolo predominante nella vita economica dei Sumeri (foto sotto, scavi di Ninive), per cui era una delle più antiche forme simboliche del concetto di ‘Albero della Vita’, l’albero sacro che collega cielo, terra e mondo sotterraneo, ed è dispensatore di doni: saggezza, immortalità e fertilità. Quando Erodoto visitò Babilonia nel V secolo a.C., rimase affascinato dalla vista delle palme da datteri e ne scrisse molto.
Curiosamente, seguendo il percorso di Alessandro il Grande alla conquista del suo impero, gli studiosi hanno individuato diversi accampamenti dalle migliaia di noccioli di datteri lasciati dai soldati, a riprova che i nutrienti e maneggevoli, i datteri della Mesopotamia facevano parte delle razioni dei soldati. Tra gli antichi Israeliti, aveva un posto di rilievo sulle pareti e sulle porte dorate del Tempio di Salomone, «dentro e fuori», ed era il simbolo del Regno di Giudea, come fonte di cibo, riparo e ombra. Al pari degli Antichi Egizi, gli israeliti portavano rami di palma durante le feste: quando Gesù entrò a Gerusalemme, i suoi seguaci lo salutarono con fronde di palma, come si usava allora.
Coltivazione
L’albero di datteri è unico, come il suo frutto: una palma alta e bella con foglie piumate sempreverdi che si irradiano dalla sommità del suo tronco. Fiorisce in zone aride dove altri alberi possono a malapena sopravvivere. Nasce e prospera in un'area che attraversa l'Asia sud-occidentale fino all'India e al Pakistan da una parte, e si estende al nord Africa e oltre, in particolare nelle oasi del deserto del Sahara. In Europa oggi l'unico posto dove ha successo commerciale è Elche, vicino Alicante, in Spagna (foto sotto), mentre al di là dell’Atlantico prospera principalmente nella regione calda e secca della California meridionale.
Le varietà del frutto
Ce ne sono davvero tante, catalogate per la consistenza della polpa che, a seconda del periodo di raccolta ed essiccamento, può essere molle, semi molle o asciutta, la meno pregiata. Ognuna delle tre tipologie può poi essere venduta fresca o disidratata (al sole o in apposite stufe). La raccolta avviene in autunno, e dopo lo stoccaggio in celle frigorifere i datteri freschi raggiungono il nostro Paese in inverno. Se disidratati invece sono disponibili tutto l'anno.
Tra le varietà più pregiate la Deglet Noor (foto sotto), del Nord Africa, in particolare di Algeria, Tunisia e Libia: trasparenza (è detto il ‘dattero della luce’), dimensioni medie, colore ambrato. Il sapore di frutta secca e la consistenza compatta lo rendono ideale alla cottura.
C’è poi la Halawi, letteralmente ‘dolce’ come dice il nome; è una varietà antica, originaria della Mesopotamia, con frutti piccoli dal gusto burroso di miele e caramello, ottimi da gustare come bonbon (senza esagerare).
Quella con il frutto più grande, la Medjoul (foto sotto) tipica dell'area del fiume Giordano, che ricorda lo sciroppo d’acero nel gusto - per la dolcezza, morbidezza e succosità non ha pari e merita di essere gustata senza cottura. Distinta per il suo gusto anche la varietà, più difficile a trovarsi, Rabbi, originaria del Belucistan: frutti medio-grandi e ovali, dal colore rosso scuro, quasi nero, sono considerati ‘da meditazione’ per la loro bontà e gustati con una tazza di tè.
Ricorda il sapore e la fibrosità dei fichi secchi la varietà Khadrawi, perfetta da ridurre in pasta.
Qualche consiglio
Sceglieteli soffici e morbidi, ricordando che più i datteri sono secchi più diventano di colore ambrato scuro. Comprateli preferibilmente già confezionati, garantiscono una certa sicurezza dal punto di vista igienico e della qualità: per la confezione, infatti, vengono sempre selezionati i datteri migliori.
Se li consumate freschi, incidete la polpa lateralmente e togliete il nocciolo; conviene pelarlo perché la buccia non è sottile come sembra.
Idee in cucina
I motivi per destagionalizzare il dattero non mancano certo: questo frutto versatile, a dispetto della sua massima dolcezza, può essere impiegato per preparare innumerevoli ricette salate (numerose quelle di origine persiana e medio-orientale), come i gustosissimi involtini (foto sopra) che vedono i datteri farciti con del formaggio caprino e un gheriglio di noce, chiusi, arrotolati in una fettina di speck e passati al forno (180°) per pochi minuti. Potete denocciolarli, saltarli nel burro e abbinarli a un secondo di carne arrosto (foto sotto).
Si abbinano bene alla carne di maiale (anche speck e pancetta), ma funzionano anche con agnello, tacchino e faraona. Sono uningrediente del couscous di pollo o agnello, insieme a verdure, spezie, uvetta e mandorle; da provare a pezzetti in un’insalata invernale come quella con finocchi, arance e carote, unendo magari qualche oliva taggiasca o Kalamata oppure quella con sedano, mele, gherigli di noci e un formaggio caprino. Da provare anche nel pane (consigliata, se la trovate, la varietà Thoory, il cosiddetto ‘dattero del pane’, appunto): i datteri essiccati vengono ridotti in farina e mescolati a farina d’orzo o multi-cereale.
I datteri si prestano anche per essere farciti (vedi sopra) con noci, mandorle o marzapane, mascarpone o stracchino; tuffati nel cioccolato con una punta di sale oppure per realizzare dolci come torte, semifreddi e budini.
Possono anche essere frullati e usati come dolcificante.
Francesca Tagliabue
dicembre 2022