American e italian style a confronto. Light compresi
È considerato uno degli alimenti portabandiera della cucina americana. Eppure la storia del ketchup è molto più antica e avventurosa rispetto a quel 1812 in cui negli Stati Uniti ne inizia la prima produzione industriale. Bisogna andare indietro di millenni, quando in Estremo Oriente si è sviluppata la consuetudine di conservare il pesce lasciandolo fermentare in contenitori insieme a riso cotto e sale. Così è nato il sushi e così, nel 1500, in Cina, questa tecnica è stata raffinata e definita “ke-tchup”, ossia salsa. Duecento anni dopo i mercati olandesi e inglesi l’hanno fatta conoscere in Europa, mentre i coloni europei l’hanno portata nelle Americhe. In questi lunghi viaggi la ricetta è stata adattata e modificata, eliminando il pesce e introducendo poi il pomodoro, quando finalmente si è capito che era anche buono da mangiare e non solo bello da vedere. A fine Settecento il medico di Philadelphia James Mease è il primo a metterci i pomodori. Nel 1876 Heinz ne mette a punto la ricetta moderna e la presenta alla Fiera Mondiale di Philadelphia, diventando presto il leader di mercato.
Da allora il pomodoro è rimasto l’assoluto protagonista del ketchup. Il suo colore intenso è stato subito ben accettato mentre il sapore, troppo acido, ha dovuto essere addolcito con l’aggiunta di zucchero e stabilizzato con un tocco di aceto, per migliorarne la conservazione. È nata così la salsa che ancora oggi mette d’accordo tutti nel mondo, e che viene usata in mille modi: per accompagnare hamburger e patatine certo, ma anche come salsa di pomodoro sulla pizza, come si fa in Germania. A essere diventata globale è la ricetta americana, ma resistono anche molte versioni nazionali, come avviene in Italia, dove in un anno si spendono 71 milioni di euro per mettere complessivamente 15 milioni di kg di ketchup nei loro carrelli della spesa. Ma cosa c’è di diverso tra le ricette di ketchup all’americana e all’italiana?
Il ketchup perfetto ha una lista di ingredienti davvero corta: pomodori, zucchero, aceto di vino e sale. Anche il valore nutrizionale è buono per una salsa: circa 1 Kcaloria per grammo di prodotto, date praticamente solo dai carboidrati perché i grassi sono meno dello 0% e le proteine pochine (2% circa).
In termini di qualità, a fare la differenza è innanzitutto il contenuto di pomodori: confrontando quel che si trova scritto in etichetta si va dal 50% al 68% del peso del prodotto. Poi conta anche l’assenza di addensanti, coloranti e conservanti, insieme alla limitata aggiunta di zucchero e sale.
Pomodori, aceto di alcool, zucchero, sale ed estratti di spezie ed erbe aromatiche: è l’elenco degli ingredienti del più famoso ketchup statunitense, venduto anche in Italia. È ottenuto da speciali varietà di pomodori coltivate in California e in Brasile, ma anche in Spagna per quanto riguarda il ketchup venduto in Europa. Nel 2024 in Spagna sono stati raccolti oltre 1 milione di tonnellate di pomodori, coltivati su terreni ampi quanto quattro volte Central Park.
Pomodori più rossi, più polposi e più saporiti di quelli che si possono acquistare normalmente nei negozi, ottenuti da varietà speciali. Controllati direttamente in campo e raccolti al giusto punto di maturazione, questi pomodori vengono lavati e poi sottoposti a una cottura rapida e poi sottoposti a evaporazione, per eliminare l’acqua dalla polpa e ottenere il concentrato, che viene poi inviato su camion refrigerati negli stabilimenti dove si produce il ketchup.
Le caratteristiche di questo ketchup sono inconfondibili: la consistenza è morbida, il sapore dolce ma con un fondo lievemente speziato e aromatico.
Concentrato di pomodoro, zucchero, aceto di vino e sale: ecco gli ingredienti della versione italiana del ketchup, evoluzione della tradizionale salsa rossa, che si è sempre accompagnata con le carni, come arrosti e bolliti.
Si parte dal concentrato ottenuto da pomodori italiani e si aggiungono lo zucchero che attutisce l’acidità del pomodoro, l’aceto e il sale, più gli aromi naturali che ne arricchiscono il gusto. Alcuni produttori aggiungono acido citrico o malico, come acidificanti. La maggior parte delle aziende usa solo pomodori italiani (e lo evidenzia chiaramente in etichetta), partendo da concentrato di pomodoro, semiconcentrato o doppio concentrato. I ketchup migliori non contengono conservanti, coloranti o addensanti, come la gomma di guar e quella di xanthan.
All’assaggio il ketchup italiano ricorda la passata, perché è più denso e ruvido di quello americano, e il sapore del pomodoro è più intenso e prevaricante.
Sugli scaffali del supermercato si trovano anche le versioni salutistiche del ketchup classico. Ossia quelle senza zuccheri aggiunti, dove queste sostanze sono sostituite con edulcoranti, come il sucralosio. Avendo una maggiore percentuale di acqua (in alcuni di questi ketchup è evidenziata come l’ingrediente principale) e meno concentrati di pomodoro (circa il 40% del totale) richiedono l’aggiunta di alcuni aiutini per ottenere la consistenza e il sapore voluto. Ecco dunque che spesso contengono fibre (come quelle ottenute dagli agrumi), oli vegetali (come quello di girasole) e addensanti.
Il vantaggio in termini energetici di questa rivisitazione della ricetta è il dimezzamento delle calorie (44 Kcalorie per 100 g di ketchup contro le 102 delle versioni classiche) e la riduzione drastica dei carboidrati (5,4% contro il 23,2%).
Curiosa e gioiosa, non a caso è emiliana, lavora come giornalista freelance specializzata nel settore consumi e food di cui scrive per molte testate di settore (economiche e gourmand). Tra un reportage e l’altro trova anche il tempo di scrivere dei libri. Uno, per esempio, è dedicato ai limoni e un altro ai radicchi e ha ricevuto dall’Accademia italiana della cucina il Premio Gianni Fossati per l’impegno nella promozione e divulgazione della buona tavola tricolore. @manuelasoressi
Curiosa e gioiosa, non a caso è emiliana, lavora come giornalista freelance specializzata nel settore consumi e food di cui scrive per molte testate di settore (economiche e gourmand). Tra un reportage e l’altro trova anche il tempo di scrivere dei libri. Uno, per esempio, è dedicato ai limoni e un altro ai radicchi e ha ricevuto dall’Accademia italiana della cucina il Premio Gianni Fossati per l’impegno nella promozione e divulgazione della buona tavola tricolore. @manuelasoressi