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Intervista a Pietro Parisi, il cuoco contadino e la sua cucina etica e di riciclo

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Da Milano con Marchesi a Parigi con Ducasse fino a Dubai al ristorante 7 stelle Burj al Arab. Pietro Parisi, cuoco contadino, torna a Palma Campania per ricominciare dalla tradizione con la sua cucina senza sprechi

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Da cuoco contadino, come tu stesso ami definirti, a chef dalle grandi ambizioni. Un percorso tutto in salita che ti ha dato molte soddisfazioni. Tutto è nato da una profonda passione per la cucina?
Mi piace dire che la passione per la cucina è nata con me. Io ho vissuto fino a 18 anni con i miei nonni che avevano una masseria a Palma Campania, la mattina scendevo nei campi per giocare e a mio modo partecipavo ai lavori dei campi, in quella che una volta veniva chiamata campagna felix, unico sostegno di molte famiglie,oltre che della mia: qui si coltivavano nocciole e ortaggi, soprattutto pomodori San Marzano, considerati allora i principi di tutte le coltivazioni.

Ho imparato fin da bambino a percepire e apprezzare il gusto del cibo più semplice come il pane condito con il pomodoro appena colto, ma presto ho scoperto che mi piaceva anche stare ai fornelli e ho incominciato a fare esperienza nella pasticceria di famiglia e a intravedere nell’attività del cucinare anche una piccola fonte di guadagno, una possibilità di lavoro gratificante perché basato su una vera passione.

(l'intervista continua dopo il video)

Quali sono state le esperienze più significative del tuo percorso?
Ho frequentato l’Istituto Alberghiero di Ottaviano e dopo il diploma ho fatto uno stage da Marchesi nel ristorante di Milano e di Erbusco per 6 mesi, qui mi sono appassionato sempre più all’alta cucina che considero importante anche per l’aspetto culturale, ho iniziato a leggere libri a interessarmi alle agricolture biologiche e ai prodotti dimenticati.

Dopo Marchesi sono stato nei ristoranti del mitico Ducasse, a Parigi e a Montecarlo.
Questa è stata la mia grande battaglia, qui ho capito che la cucina è amore, passione ma anche dolore.

Sono entrato in una brigata di 30 stagisti, ma dopo 4 giorni ci siamo trovati in 4.
Lo chef aveva capito che negli occhi di quel ragazzo del Sud d’Italia c’era la vera passione, la forza di apprendere e di andare avanti anche se non aveva esperienza, non sapeva cucinare il foie gras e non conosceva lo chateaubriand….

Da semplice stagista a chef, come è avvenuto il grande salto professionale?
Rimango con Ducasse per 5 anni: considerato uno dei suoi più validi allievi, divento chef di partita e pian piano capisco la complessa struttura di un ristorante, imparo a vederlo più come un’azienda.

A questo punto mi sento pronto a partire e a conquistare il mondo per sfruttare le mie nuove esperienze e il mio entusiasmo, lo stesso Ducasse mi spinge a incominciare a camminare con le mie gambe e mi indirizza a Dubai in uno degli alberghi più lussuosi, a 7 stelle, a fare cucina italiana con una numerosa brigata che mi chiama chef.

Qui inizia la promettente carriera di un ragazzo del sud, nato da genitori umili lavoratori.

(l'intervista continua dopo il video)

Quando hai deciso di tornare a casa?
La sfortuna vuole che nel 2003 si incomincia a parlare di terra dei fuochi, terra di camorra, dove la gente ha sotterrato i rifiuti.

Scatta la ribellione, è una cosa che mi fa stare male. Non può essere possibile che questo succeda in una regione dove i miei nonni hanno lavorato la terra con grande fatica solo per portare in tavola cibo sano. Litigo con Ducasse che mi dice che stavo gettando la mia carriera, ma io torno al mio paese, compro il mio primo ristorante “Era Ora” nel 2005 e al proprietario che cerca di dissuadermi dico che a volte nella vita bisogna dare il proprio contributo per cambiare le cose sbagliate.

Mi impegno a tornare alla tradizione e a fare cultura. Apro anche una pizzeria e la prima cosa “culturale” la faccio preparando pizze con prodotti di qualità: pomodoro San Marzano, alici di Cetara, prosciutto di cinta senese, la gente incomincia a incuriosirsi e a capire che la qualità paga. In ricordo di mia nonna e dei suoi preziosi insegnamenti apro a San Gennaro Vesuviano l’osteria-salumeria “Le cose buone di Nannina”, dove tutti, ricchi e poveri, possono pranzare con soli 8 euro, con una cucina buona, di territorio, a basso prezzo e senza sprechi.

Il primo scontrino di questa attività lo devolvo all’Unicef per combattere la malnutrizione nel mondo.

La tua cucina si può definire etica e sostenibile?
Sì, perché valorizza le piccole produzioni territoriali e il lavoro di artigiani e contadini, rispetta la stagionalità e rifiuta gli sprechi.

Tra le tante cose che mi ha insegnato mia nonna è “fare dispensa”: ai suoi tempi non c’erano frigoriferi e congelatori, tutto si conservava con l’essiccazione, la salagione, il sottolio, io ho applicato questi sistemi tradizionali alla tecnica innovativa del sottovuoto e della cottura a bassa temperatura ad alcune preparazioni tipiche, che ho chiamato “boccaccielli”, una versione personalissima di cibo da strada. Un esempio? La parmigiana di melanzane: la inserisco nei barattoli e la cucino a 80° per 3 ore, così si conserva a lungo e si trasforma in una “cassaforte” che racchiude i sapori simbolo del nostro territorio: pomodoro San Marzano, melanzana, fiordilatte e basilico.

Adesso ne prepariamo 30.000 barattoli distribuiti nei nostri ristoranti ma anche all’estero: così si salva anche il mercato locale, perché noi acquistiamo tutte le melanzane al prezzo più conveniente per i contadini. Per questo mi è stato riconosciuto il premio Street Food da Chef 2017 del Gambero Rosso.

Ai boccaccielli ho dedicato un bistrot a Roma, in società con l’attore Luca Capuano, un amico conosciuto durante la mia permanenza negli Studi Rai dove sono ospite fisso nella trasmissione “Mi Manda Rai 3” per la rubrica “La cucina senza spreco.

Il tuo impegno ti ha meritato altri riconoscimenti?
Ho ricevuto in aprile il premio come Testimone dei Diritti Umani dalla Lunid (Libera Università dei Diritti Umani) e ho avuto l’onore di cucinare per il Presidente Mattarella per la cena organizzata in occasione della Prima del Teatro San Carlo a Napoli.

Un’altra bella opportunità per diffondere una cucina di territorio che appaghi e regali emozioni.

di Miriam Ferrari
video di Diego Stadiotti
agosto 2016

Pietro Parisi nasce a Palma Campania (in provincia di Napoli) dove vive fino a 18 anni nella masseria di famiglia; si diploma all'Istituto Alberghiero di Ottaviano, ma la sua aspirazione è diventare cuoco ad alti livelli. Dopo uno stage a Milano nel ristorante di Gualtiero Marchesi lavora per qualche anno a Parigi da Alain Ducasse. A soli 24 anni diventa chef in un albergo a 7 stelle di Dubai, ma presto rinuncia alla carriera per tornare a lavorare nella sua terra d'origine: apre a Palma Campania il ristorante Era Ora e l'osteria-salumeria Le cose buone di Nannina a San Gennaro Vesuviano. In seguito inaugura a Roma il Boccacciello bistrot‚ versione italiana del food jar. Ogni settimana è ospite nella trasmissione televisiva Mi manda Rai 3, della rubrica La cucina senza spreco.

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