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Il riso, questo sconosciuto (almeno finora)

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Uno studio sfata 3 grandi miti sul riso. E i diabetici ringraziano!

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È un prodotto agricolo di cui l’Italia va fiera (realizziamo il 60% della produzione europea) e per cui è famosa nel mondo (ne esportiamo il 60%). Ed è pure un protagonista indiscusso della cucina italiana. Eppure, strano a dirsi, il riso finora non aveva mai ricevuto un trattamento adeguato al suo rango, almeno da parte degli scienziati che si occupano di nutrizione. Una lacuna colmata dall’Ente Nazionale Risi che, insieme con l’Università di Pavia e il Politecnico di Torino, ha realizzato un’ampia e completa indagine su alcune varietà di riso italiano. Giungendo a risultati tanto inattesi e sorprendenti da scardinare alcune delle idee più diffuse su questo cereale. A partire dal suo impatto sulla glicemia e, quindi, dal suo inserimento nella dieta dei diabetici. È arrivato, dunque, il momento di sfatare alcuni miti nutrizionali (errati) sul riso.

MITO N.1 DA SFATARE: il riso ha un alto indice glicemico
Chi soffre di diabete (ma anche chi, pur non essendolo, tiene sotto controllo i picchi della glicemia) ha sempre avuto un rapporto difficile con il riso, perché lo si è sempre considerato un alimento ad alto indice glicemico, ossia capace di provocare un aumento veloce della quantità di zuccheri presente nel sangue. Il che ne faceva un alimento da consumare raramente e con cautela da parte dei diabetici. Ma questo nuovo studio, condotto su ben 25 varietà di riso Japonica somministrate a dieci volontari, ha concluso che non è affatto così.  Per la prima volta, infatti, si è scoperto che il riso italiano ha, in media, un indice glicemico pari a 66,8: un valore che lo colloca nella fascia media della scala di riferimento realizzata dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). In altre parole, il riso italiano non ha un indice glicemico più alto degli altri cereali che portiamo comunemente in tavola, come il pane bianco (70) o gli spaghetti (55).

MITO N.2 DA SFATARE: il riso è vietato in caso di diabete
La ricerca commissionata dall’Ente Nazionale Risi non ha misurato solo l’indice glicemico ma anche il contenuto di amilosio delle 25 varietà di riso analizzate. E anche in questo caso le conclusioni sono state inattese: lo studio ha scoperto che, più il contenuto di amilosio aumenta, più l’indice glicemico diminuisce. Un’evidenza da cui è partita un’inedita classificazione delle 25 cultivar di riso Japonica in base alla loro risposta glicemica (bassa, media ed elevata). Le varietà più virtuose, ossia quelle con l’indice glicemico ancora più basso, sono il riso Selenio (49,2) e l’Argo (50,5), che sono adatte sia a chi soffre di diabete conclamato sia a chi è in stato di glicemia a digiuno alterato, una condizione che predispone alla malattia diabetica. “Promosso” anche il riso Carnaroli Classico, che ha mostrato un indice glicemico medio. Dunque, è arrivato il momento di rivedere i consigli e i piani nutrizionali destinati a chi soffre di diabete o di iperglicemia, di obesità o di sindrome metabolica, o si trova in una condizione di pre-diabete: il riso può (finalmente) tornare sulle loro tavole. 

MITO N.3 DA SFATARE: coltivare il riso fa sprecare tanta acqua
L’impegno sul fronte della ricerca messo in campo dall’associazione dei produttori italiani di riso ha riguardato anche la sostenibilità di questa coltivazione. Da un lato si studiano varietà che resistono meglio al calore e alla siccità, grazie a radici profonde che sono capaci di assorbire maggiore umidità dal terreno. E dall’altro si utilizzano tecniche agronomiche moderne, che permettono di coltivare il riso sempre più nel rispetto dell’ambiente. Anche quando si tratta di utilizzo dell’acqua: infatti, il il sistema di irrigazione delle risaie permette di riutilizzarla in media 2,5 volte circa prima di farla giungere ai fiumi. In pratica, le risaie sono come una grossa spugna che rilascia lentamente a valle l’acqua, senza sprecarne neppure una goccia. Chi l’avrebbe mai detto? 

Manuela Soressi
maggio 2023

 

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