La nostra cucina contemporanea ha origini antiche, che in alcuni casi risalgono anche al tardo Medioevo e o al Rinascimento, cioè al periodo compreso tra il XII al XVI secolo. Principi, baroni e conti mangiavano pietanze differenti da quelle che nutrivano garzoni, contadini e servi. Tutti erano accomunati dall'usanza di fare solo due pasti durante la giornata: un pranzo corposo a metà mattina e una cena leggera verso il tramonto, a meno che non si trattasse di qualche banchetto di festa. Si era soliti però intramezzare la giornata con piccoli pasti intermedi dipendenti dallo status sociale e dalle disponibilità alimentari. Lo spartiacque tra Nord e Sud Europa lo dettavano i condimenti: a settentrione erano più diffusi oli ricavati da papavero, noci e nocciole, acquistabili a buon mercato, oppure burro e lardo, usati in grandi quantità come sostituti dell’olio; nel meridione invece l'olio era la regola, anche se spesso era poco più che un olio da luce, per le scarse condizioni igieniche e conoscenze di spremitura delle olive.
La dieta dei monaci
Anche la cultura gastronomica dei monasteri (che spesso utilizzava materie autoprodotte o offerte in dono) si è salvaguardata lungo i secoli. La struttura della dieta era dettata dalla Regola benedettina, ma i monaci erano abili nell’aggirare i limiti rigidi imposti. Ad esempio, ogni monaco poteva consumare massimo 300 ml di vino al giorno, poco più che l'equivalente di un bicchiere, ma non esisteva alcun limite alla birra: nell’Abbazia di Westminster, a ogni monaco era consentito consumare 4,5 litri di birra ogni giorno, un traguardo difficile da raggiungere. Vi erano dei divieti anche sulla carne: ai monaci era vietato nutrirsi di animali a quattro zampe per tutto l’anno, ad eccezione degli individui più deboli e dei malati, che necessitavano quindi di un buon apporto di carne rossa. La regola veniva tuttavia facilmente aggirata considerando le frattaglie e il bacon come alimenti che nulla a che vedevano con la carne.
Il pane bianco: solo per i nobili
Il pane non era così comune fino al 1300: i cereali venivano generalmente consumati attraverso porridge, farinate o zuppe, soprattutto al nord, dove il grano era difficile da coltivare. Il pane bianco era appannaggio dei nobili: la farina più fine era generalmente troppo costosa per un contadino. I cereali più consumati in epoca medievale erano segale, orzo, grano saraceno, miglio e avena, quindi il pane riservato per la gente comune era scuro, ricco di crusca e realizzato con una farina macinata grossolanamente, oggi lo chiameremmo integrale. Il concetto di pane più pregiato (e costoso) si è totalmente rivoluzionato.
Vino e birra: il sostentamento
Tra le bevande alcoliche erano molto diffuse il sidro di pere, di ciliegie, di prugnole, di mele, ma soprattutto la birra e la cervogia ottenuti dai cereali fermentati che iniziano ad essere aromatizzati con il luppolo a partire dal IX secolo. Il vino, che oggi giorno potremo definire senza dubbio scadente, aveva una gradazione alcolica solitamente bassa, veniva edulcorato con spezie o miele per coprire il gusto acetato, dovuto alla difficoltà di conservazione e trasporto. Eppure era tra le bevande preferite del Medioevo, forse anche per l'accezione cristiana che si legge nella Bibbia.
Il Medioevo da assaggiare
Le ricette che sono state tramandate fino ai giorni nostri sono principalmente ricette di festa e appartenevano alle tavole dei nobili. Non sono pochi i ristoranti dei borghi medioevali, come quello di Subiaco per esempio, che sono andati a riscoprire antichi piatti del territorio e li ripropongono in menu. In alcuni luoghi dalla particolare forza evocativa, come il chiostro dell'hotel Donna Camilla Savelli, è particolarmente bello abbinare la storia dell'edificio e quella della cucina.
Al ristorante Il Ferro e Il Fuoco all'interno dell'hotel Donna Camilla Savelli della catena Voihotels, lo chef Emidio Gennaro Ferro su progetto della direttrice Elena Prandelli, con una lunga esperienza nella gestione di dimore storiche, ha preparato un menu che si basa su antichi ricettari originali. Ecco in carta che si possono gustare gli gnocchi di formaggio fresco con burro e salvia (polpettine di formaggio, realizzate con farina e uova usate come legante, dato che le patate non erano ancora state portate dalle Americhe) e il galletto alle arance amare con acqua di rose, tra i piatti preferiti di Lorenzo Il Magnifico. A richiesta nella Gran Sala Borromini, l’antico refettorio di quello che fu un convento, viene rappresentato lo scenario di un banchetto sontuoso attorniato da tele rinascimentali originali, dove si può gustare il menu rinascimentale del ristorante. Siamo a Roma, nel quartiere di Trastevere.
Cristoforo di Messisbugo, o Messi Sbugo fu il cuoco di corte degli Este e spesso fu chiamato alla corte dei Gonzaga a Mantova: famoso già all'epoca scrisse nel 1549 Banchetti composizione di vivande e apparecchio generale, uno dei ricettari più famosi di tutti i tempi, pietra miliare nella storia della gastronomia europea del Rinascimento. Al chiosco vicino alla stazione di Ferrara lo chef Maximiliano Veronesi del Take Eat Easy ha realizzato pasticcio di maccheroni del Messisburgo, seguendo la ricetta originale. Questo pasticcio è avvolto da una pasta frolla dolce, al suo interno vi sono adagiati maccheroni (a volte cappelletti), avvolti da una soffice besciamella arricchita da ragù di carne, o rigaglie di pollo, il tutto profumato da sottili schegge di tartufo o funghi. Si può provare al Ferrara Food Festival, manifestazione dedicata alla scoperta della gastronomia ferrarese in programma per il prossimo novembre 2022.
Nell'antica tradizione molisana un formaggio che risale alla notte dei tempi, ma tutt'ora usata nei matrimoni è la treccia di Santa Croce IGT detta anche “manto della sposa” perché si tratta di un prodotto caseario simile alla mozzarella intrecciato come fosse una stola, da mangiare sfilacciato, che si usava posizionare sul letto degli sposi novelli. Un'altra preparazione della tradizione del Molise è la pampanella: il nome di questa particolare preparazione deriva dall'usanza, risalente al XVI secolo, di avvolgere la carne di maiale opportunamente condita, con le foglie di vite, pampinus, che spesso servivano da piatto. Si possono trovare questi piatti alla Masseria Grande a Montecilfone in località Pezze Corundoli, una struttura rurale immersa in 70 ettari di vigneti e ulivi.
Donna di bollenti spiriti, si narra che la bella Lucrezia Borgia avesse una grande passione per il cibo, tanto che avrebbe espresso il desiderio, se la sua vita non fosse stata destinata a ben altro destino, di dare una mano come cuoca. Nel cuore più alto del borgo medioevale di Subiaco svetta la Rocca dei Borgia, che guarda lo scherno del suo potere temporale le lontane abbazie di San Benedetto e Santa Scolastica. E all'interno di questa fortezza militare inespugnabile, passata poi nelle mani della ricca famiglia dei Colonna e dove venne stampato il primo libro a caratteri mobili in Italia,Lucrezia amava farsi preparare i fagioli all'uccelletto scappato, il suo piatto preferito. Persino l'Artusi lo cita nella sua ricetta n.384 con il titolo “Fagiuoli a guisa d’uccellini”. Ma gli uccelletti non ci sono, è un modo di ironizzare su un piatto povero, contenente solo i fagioli conditi con olio, aglio, pomodoro, sale, pepe e salvia. Altro suo piatto preferito era il pavone ripieno di anguille. E quando la bella Lucrezia arrivò a Ferrara si racconta che un cuoco bolognese, mastro Zefirano, creò appositamente per lei una pasta ispirata a quei capelli biondi e lunghi che ammaliavano i re e i signori dell'epoca: forse proprio così nascono le tagliatelle. L'idea ebbe così successo che durante il banchetto di nozze di Lucrezia e Alfonso d'Este viene servita proprio questa pasta al sugo di germano.
Se il torrone è da tutti conosciuto e apprezzato, soprattutto durante le feste, pochi sanno che nasce per un matrimonio, esattamente il 26 ottobre 1441 in occasione dello sposalizio tra Bianca Maria Visconti con Francesco Sforza. Il dolce aveva la forma del Torrazzo e, per questo, venne chiamato “torrone”. La sua nascita è stata influenzata dalla posizione della città di Cremona che sorge sulla riva sinistra del Po. Sul fiume viaggiavano le merci, fra cui le mandorle ingrediente principale del torrone. E per ricordare quella che fu un evento epocale di unione tra le due famiglie più importanti del tempo, si festeggia ogni anno la Festa del Torrone a Cremona, giunta alla ventiquattresima edizione. La prima testimonianza scritta del torrone è però spagnola, esattamente in Catalogna nel 1221, lo si trova anche in ricettari e documenti del XIV secolo.
Gennaio 2022
Camilla Rocca