Chi non si è fatto attirare dal fascino dei “grani antichi”? Presentati come più “naturali” (ossia meno manipolati), più salutari e più gustosi di quelli moderni, questi frumenti appartenenti a varietà storiche sono diventati molto popolari, tanto che ormai la pasta e il pane che li usano come ingredienti si trovano in vendita anche nei supermercati.
Il loro successo, però, ha diviso l’opinione pubblica a metà: c’è chi ne sottolinea i tanti benefici e li ritiene superiori ai frumenti moderni da tutti i punti di vista, e c’è chi ha un atteggiamento più moderato, ritenendoli un’alternativa ai soliti frumenti o un riuscito caso di marketing. In tutti i casi, di antico (come lo immagineremmo noi) hanno ben poco: i grani antichi hanno tutti meno di 100 anni (sono stati selezionati dai ricercatori tra 1900 e 1960, quando poi sono arrivate le varietà moderne), spiega Luigi Cattivelli, direttore del Centro di Ricerca Genomica e Bioinformatica del Crea, nel suo libro “Pane nostro. Grani antichi, farine e altre bugie”, edito da Il Mulino, in cui cerca di fare chiarezza e combattere le “leggende metropolitane”, partendo da ricerche e dati scientifici. Ecco come risponde alle cinque domande più comuni sui grani antichi, quelle che circolano soprattutto online.
1. I grani antichi sono migliori di quelli moderni?
Sono diversi: i grani di varietà storiche sono poco produttivi, molto suscettibili alle malattie e poco adatti ai cambiamenti climatici del nostro pianeta. Per queste criticità sono stati abbandonati e sostituiti con frumenti cosiddetti “moderni”, ossia caratterizzati da elevata produttività e buona resistenza alle malattie.
Come la maggior parte dei prodotti che mangiamo, che sono frutto di una ricerca genetica recente e quasi tutti sono stati in qualche misura modificati dall’uomo, anche i frumenti antichi hanno subito rimaneggiamenti genetici. Infatti per domesticarli e coltivarli nelle aree in cui andavano a insediarsi, gli uomini hanno selezionato le piante con particolari caratteristiche genetiche (a partire dall’impossibilità di disperdere i semi una volta che sono maturi). Questo processo dura da 12.000 anni e solo a partire dal Novecento si è avvalso delle conoscenze genetiche prima e genomiche poi.
Anche il fatto che i grani antichi siano più sostenibili è discutibile: essendo poco produttivi (dal 30 al 50% in meno dei frumenti moderni), richiedono più terreno per produrre la stessa quantità di farina; il che va contro tutti i principi della sostenibilità ambientale. Se si passasse dai grani moderni a quelli antichi, a parità di ettari coltivati, la produzione italiana di frumento tenero si dimezzerebbe.
Comunque i grani antichi dovrebbero essere considerati per il loro valore culturale e come un’opportunità per le aree marginali, come quelle di montagna e di collina, dove l’attività agricola è molto difficoltosa e dove i produttori devono puntare su prodotti ad alto valore aggiunto, che assicurino loro un buon reddito, come il vino e le piante di varietà antiche.
2. I frumenti antichi sono più salutari di quelli moderni?
“I frumenti antichi non hanno caratteristiche migliorative specifiche che non si ritrovino anche in qualche frumento moderno” sottolinea Cattivelli. Con alcune eccezioni. Rispetto a quelli moderni, i grani antichi contengono il 15-20% in più di minerali, in particolare zinco e ferro, e spesso hanno anche una maggior quantità di componenti bioattivi con attività antiossidante, come polifenoli e carotenoidi. Come i minerali, anche questi composti sono presenti soprattutto nella crusca. Quindi, per avvantaggiarsene, sarebbe meglio scegliere sempre i prodotti integrali.
La composizione nutrizionale dei grani antichi non permette, però, di sostenere che abbiano particolari effetti benefici sull’organismo, come la capacità di prevenire la sensibilità al glutine, spesso citata dai fans dei grani antichi. “A mio avviso i dati disponibili al momento non consentono di trarre conclusioni certe – scrive Cattivelli - Da un lato perché ci sono pochi trial clinici, e tutti effettuati su poche decine di individui, e dall’altro perché ancora non è stata identificata la sostanza (o le sostanze) a cui andrebbe il merito degli effetti benefici che vengono descritti”.
3. I grani antichi hanno meno glutine di quelli moderni?
No. Il contenuto proteico, e quindi di glutine, dipende da fattori genetici e agronomici. In generale si osserva che più aumenta la produttività di un frumento e più diminuisce il contenuto di proteine nei suoi semi. A parità di condizioni agronomiche i frumenti antichi hanno più proteine, e quindi più glutine, rispetto a quelli moderni. Tuttavia, esiste una certa diversità genetica per cui singole specie o varietà, sia moderne che antiche, possono differenziarsi da questa media. Ad esempio, il frumento monococco ha un elevatissimo contenuto proteico anche nelle varietà moderne.
4. I grani antichi hanno un glutine di miglior qualità rispetto a quello dei moderni?
Generalizzare è difficile perché sia i grani antichi che quelli moderni presentano un’ampia varietà per composizione e proprietà tecnologiche del glutine.
Molti dei frumenti antichi sono sì caratterizzati da un glutine debole rispetto a quelli moderni ma c’è molta variabilità. Ad esempio, il glutine presente nel Senatore Cappelli è più debole rispetto a quello di molti frumenti duri moderni, ma è anche più forte di quello di molti altri frumenti della sua epoca.
Invece i frumenti moderni hanno, in genere, un glutine tenace, ossia con una maggiore forza, ottenuta tramite miglioramento genetico per poter ricavarne pane più soffice e pasta sempre al dente. Ma ci sono anche frumenti teneri moderni caratterizzati da un basso contenuto di proteine e da un glutine debole: sono i più usati dai produttori di biscotti, perché velocizzano l’impastamento e consentono un basso assorbimento dell’acqua.
5. I grani antichi hanno più gusto e profumo?
È difficile affermarlo, per due ragioni. La prima è i sapori unici che vengono attribuiti ai grani antichi sono difficilmente misurabili in modo oggettivo, con una strumentazione analitica. La seconda è che aromi e sapori dei prodotti a base di frumento non si devono tanto al tipo di grano quanto al modo in cui viene trasformato e lavorato.
Manuela Soressi,
settembre 2023