Un ritratto inedito e interessante di un musicista agricoltore: il grande compositore ottocentesco si rivela un illuminato imprenditore agricolo, che ben conosceva l’arte casearia e quello che diventerà il grana padano
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Maura Quattrini e Davide Demaldè sono gli autori del volume “Nelle terre di Giuseppe Verdi, viaggio tra i caseifici del maestro”, un libro che offre un ritratto inconsueto, ma decisamente autentico, di Giuseppe Verdi. Il libro, spiega Stefano Berni, direttore generale del Consorzio Grana Padano, è stato realizzato grazie allo stimolo e al contributo del Consorzio Grana Padano che ha voluto celebrare in questo modo uno tra gli operisti più grandi di ogni tempo, rivelandone il lato meno conosciuto ma importante, di imprenditore agricolo illuminato, che contribuì direttamente allo sviluppo del grande formaggio Dop, oggi il più consumato in Italia e nel mondo.
Compositore e proprietario terriero Un viaggio nella vita del Maestro quando viveva a Sant’Agata di Villanova d’Arda di Piacenza e, nelle pause del suo lavoro, usciva nelle sue tenute a occuparsi di agricoltura, vigilava sui suoi allevamenti, visitava i suoi caseifici dove produceva un eccellente formaggio “grana”, di cui era un esperto. Fu nel silenzio e nella riservatezza delle sue tenute di Villanova d’Arda che scrisse opere famose in tutto il mondo come il Falstaff, l’Otello, il Don Carlos, il Rigoletto, il Trovatore, la Traviata, i Vespri Siciliani.
Un diario inedito della vita privata di Giuseppe Verdi attraverso testimonianze e documenti inediti raccolti nel “viaggio” tra i caseifici di Piantadoro e Castellazzo, siti nel comune di Villanova d’Arda. Leggendo il volume riccamente illustrato, incontriamo il Maestro ma tanti altri personaggi del suo entourage piacentino, casari, agricoltori, fidati collaboratori delle tenute, gli amici di sempre (foto in apertura, Archivio Storico Ricordi), eleganti cantanti d’opera ma anche Caterina, moglie del casaro Allegri cui Giuseppe Verdi chiederà di raccogliere le sue ricette in un libretto delle pietanze che testimoniasse il «patrimonio dei nostri sapori»; la cuoca Ermelinda Berni, custode della tavola verdiana con il suo risotto alla Verdi, le mezze maniche ripiene di grana, e altri.
La terra era una passione, come la musica Scopriamo che le note del martelletto sulla forma di Grana deliziavano il compositore tanto quanto quelle delle sue opere, che al casaro che gli spiegava che per “comprenderle” ci voleva orecchio rispose che «C’è musica e musica!», mimando un direttore d’orchestra. Un uomo spiritoso, semplice e schietto, che amava la buona cucina e il suo territorio, che considerava il latte delle sue vacche l’”oro di queste terre” e che si fermava a discutere di fiere e lattodensimetri con i suoi casari mentre li esortava a mandare a scuola i loro figli, che “sappiano leggere e scrivere” e imparino il mestiere.
Un’eredità di eccellenza Il formaggio tanto amato da Giuseppe Verdi, quello che allora era detto “piacentino”, nel 1954 divenne – insieme al “mantovano”, al “bresciano” e al “cremonese” – cinquantatré anni dopo la morte del grande musicista, il Grana Padano. “Il Maestro Giuseppe Verdi va annoverato quindi tra i padri nobili del Grana Padano” ha dichiarato Stefano Berni alla presentazione del libro, tenutasi presso il Megastore Mondadori di Piazza del Duomo a Milano.