Sui banchi del mercato, nel carrello del super e nella nostra fruttiera, sono tante le varietà di frutta esotica che ci risultano estremamente familiari, tanto da aver dimenticato che arrivano, originariamente o letteralmente, da Paesi lontani. Senza andare a scomodare gli agrumi, giunti a noi in un remoto passato dal sudest asiatico, basta pensare ai comuni kiwi, che hanno percorso la strada dalla Cina alla Nuova Zelanda alla fine dell’Ottocento, per arrivare qui intorno agli anni Settanta e trovare un terreno così che fertile che, oggi, l’Italia è il secondo paese produttore al mondo. Continuano a viaggiare dai Tropici ai nostri lidi ananas e banane, ma non ce ne ricordiamo praticamente più e li consideriamo quasi ordinari. Gli alchechengi sono un classico della pasticceria che li riveste da sempre di cioccolato. E associamo il cocco più ai veditori ambulanti sulle nostre spiagge che alle palme indonesiane.
Varietà da tutto il mondo
Per cogliere un tocco di esotismo dobbiamo guardare ad avocado, mango, papaya, frutto della passione (o maracuja) e a varietà ancora più di nicchia. Fra queste, c’è la brasiliana feijoa, simile a un kiwi a buccia liscia, con polpa bianca che a maturazione ricorda la banana. L’australiano finger lime è un piccolo agrume che al taglio rivela un “cuore” di perle trasparenti. La sudamericana pitaya, chiamata anche frutto del drago, esternamente può essere rosa screziato o giallo limone, dentro ha una polpa bianca o fucsia disseminata di minuscoli semini neri croccanti. I cinesi litchi, dal guscio spesso e ruvido, racchiudono una polpa perlacea e sono molto simili agli asiatici rambutan, con la scorza percorsa da una sorta di rigida peluria. Lo scarlatto tamarillo dell’Ecuador sembra un piccolo pomodoro ma è dolce e aromatico. La gialla granadilla fa parte della famiglia del passion fruit, di cui ricorda consistenza e gusto.
Le coltivazioni occidentali
La sorpresa è che alcuni di questi frutti, in seguito ai ben noti cambiamenti climatici, stanno diventando sempre più occidentali, quando non proprio “nostrani”. La carambola, frutto giallo a forma di stella da cui si ottengono fette molto decorative, è largamente coltivata in Florida. Ma anche vicino a noi, dal Lazio alla Sicilia, passando per Basilicata e Calabria, stanno prendendo piede produzioni di avocado, mango, papaya, feijoa, finger lime. Spesso si tratta addirittura di produzioni biologiche che abbinano la freschezza di un prodotto a “chilometro breve” a salubrità e sostenibilità.
Il trasporto fa... la maturazione!
Basta leggere l’etichetta per capire la provenienza che, a sua volta, può incidere sulla qualità. Infatti, più lungo e lento è stato il viaggio per arrivare nei nostri punti vendita, più facilmente ci troveremo davanti a frutti a un grado di maturazione non ottimale. Infatti, quelli che arrivano da Oriente e Sudamerica via nave, impiegando anche 20-30 giorni, sono colti ancora acerbi e conservati in celle frigorifere. All’acquisto, potranno risultare ancora duri e non pronti al consumo, mentre la maturazione lontano dal sole potrebbe renderli meno zuccherini e gustosi. Viceversa, quelli giunti fino a noi via aerea (cosa sempre indicata su etichette, cassette e imballi, al contrario del trasporto marittimo che è “omesso”) sono stati staccati dalla pianta al momento giusto, in genere 4-5 giorni prima dello “sbarco” sui nostri mercati. Questo, com’è ovvio, incide sul prezzo, sensibilmente più alto, ripagato dal fatto che la qualità risulta nettamente migliore. Meglio ancora se i frutti sono nati e cresciuti nelle nostre regioni o appena al di là del mare, in nord Africa.
Come sceglierli
Leggere l’etichetta, naturalmente, non basta. E non sempre è facile capire se stiamo acquistando un buon prodotto, saporito e aromatico. La verità è che non abbiamo molta dimestichezza con questi frutti e spesso risulta difficile saggiarne la qualità. Qualche accorgimento si può comunque usare. Un ananas che si presenta troppo verde e inodore dovrebbe metterci in guardia, al pari di quello quasi marrone che sprigiona sentori di fermentazione. I frutti con buccia morbida, che si può tastare, come avocado, mango o papaya, devono risultare cedevoli senza apparire troppo teneri e non presentare parti molto scure o annerite. Al contrario, i frutti della passione si comprano con la buccia ben tesa e liscia, ma sono al punto giusto di maturazione quando diventa raggrinzita. Le feijoa devono iniziare a presentare una picchiettatura scura sulla buccia: se è verde brillante uniforme, la polpa sarà bianca e allappante, invece che color crema e zuccherina. Le “foglie” che avvolgono gli alchechengi devono essere croccanti, non appassite. Il cocco, infine, deve apparire pesante, segno che all’interno è ancora ricco della sua acqua, che mantiene la polpa umida.
Conservateli fuori dal frigo
Quale che sia la provenienza, ma a maggior ragione se si tratta di frutti ancora acerbi, la conservazione deve avvenire fuori dal frigo, a temperatura ambiente, seppure al riparo da luce, calore diretto e umidità eccessiva. I frutti esotici sono infatti “abituati” ai climi tropicali e il freddo rischia di sciuparli, come ben sa chi prova a mettere in frigo le banane. L’ideale è tenerli chiusi in sacchetti di carta, evitando di mescolare le qualità, e consumarli comunque entro pochi giorni dall’acquisto.
Di cosa sanno e come si abbinano
Una qualità comune un po’ a tutti i frutti esotici e l’acidità, più o meno spiccata, che equilibra le componenti zuccherine. Per questo motivo sono eccellenti in pasticceria per creme, macedonie e gelatine, ma anche nei piatti salati. Fra gli abbinamenti più indicati, quello tra la papaya e i salumi come prosciutto e culatello, al pari del nostro melone. Il mango sposa bene i crostacei più eleganti, sia crudi che cotti, e se ne possono preparare chutney agrodolci perfetti con le carni arrosto, soprattutto di maiale. Anche la polpa ricca di semi del frutto della passione, o il suo succo centrifugato, sta bene con gamberi, scampi e compagnia. Il cocco a scaglie sottili o grattugiato è ottime sul riso pilaf e nelle zuppe ispirate ai curry thailandesi. Tutti possono essere aggiunti alle insalate miste. L’eccezione che conferma la regola è l’avocado: pastoso e burroso, non è per nulla acido e neppure dolce. Tant’è che è poco usato in pasticceria, mentre è spesso abbinato alle noti pungenti di peperoncino e cipolla cruda, per esempio nel celeberrimo guacamole, ottimo con le uova, il salmone e i pomodori, sui toast, nei bagel e in versioni esotiche del club sandwich. La parola d’ordine resta sperimentare e lasciarsi andare, anche nella cucina di casa, a esotiche suggestioni fusion.
Francesca Romana Mezzadri
dicembre 2021