Il nome non deve trarre in inganno: la frittata di scammaro proprio frittata non è, dal momento che è priva di uova. Una mancanza che fa di questa storica specialità partenopea un'antesignana della cucina "senza", nata esplicitamente come piatto di magro e non di riciclo. Fu descritta per la prima volta da Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, nel suo manuale Cucina teorico-pratica, pubblicato nel 1837. Nei trent'anni successivi, il nobile gastronomo continuò ad ampliare questa summa della cucina napoletana con altre preparazioni, per un totale di nove edizioni. In una delle ultime, descrive la "frettata de vermicielli", nel Regno delle Due Sicilie nota anche come scammaro. Un termine curioso che ne rivela l'origine conventuale: in alcuni giorni, come nel periodo di Quaresima, i religiosi erano tenuti ad astenersi dal mangiare carne e derivati, tranne che per motivi di salute; in questo caso, dovevano però consumare i pasti nella loro cella, la "cammera". Da qui, "scammarare" diventò sinonimo di mangiar di magro. Penitenza sì, ma con gusto I sacrifici alimentari nel periodo di digiuno quaresimale costringevano a inventarsi piatti appetitosi utilizzando i pochi ingredienti concessi. Nella sua ricetta, Cavalcanti mixa abilmente consistenze e sapori contrastanti, come richiede il gusto moderno, prodigando suggerimenti e tecniche per rendere la preparazione croccante: "scauda tre rotole de vermicielle, ma teniente, teniente (ben al dente), li scule e li buote dinto a no tiano (recipiente) co tre mesurielle d'uoglio zoffritto co miezo quarto d'alice salate e pepe, quanno l'aje mbrogliate e asciuttate, ne miette na mità dinto a la tiella (padella) e nge miette na mbottonatura (ripieno) d'aulive senza l'osse, de chiapparielle (capperi), d'alice salate a meza a meze, passe e pignuole (uvetta e pinoli), nge miette l'auta mmità de li vermicielle e nge farraje fa la scorza (crosticina) sott'e ncoppa (sotto e sopra), facennola friere co la nzogna (sugna) o co l'uoglio." Cent'anni dopo, la ricetta di Cavalcanti viene ripresa da Jeanne Carola Francesconi nel suo manuale La cucina napoletana (1965), considerato una vera bibbia, seconda solo al trattato del suo illustre predecessore. La Francesconi descrive minuziosamente il giusto metodo di cottura per le frittate di pasta, compresa quella di scammaro, in modo da ottenere la perfetta doratura anche dei bordi. Questo era anche uno dei piatti preferiti di Eduardo De Filippo. La moglie Isabella Quadrotti lo racconta nel libro Si cucine cumme vogli'i (2001), specificando che glielo insegnò la figlia Angelica, che a sua volta lo imparò da Eduardo. Isabella scrive che la frittata di scammaro è molto saporita, ma non facile a farsi: come già raccomandava la Francesconi, va cotta "a fuoco vivo, girando la padella leggermente inclinata e in ogni direzione, perché deve rosolarsi anche sui lati".
Paola Mancuso
giugno 2023