Cos'hanno in comune la cucina del Trentino Alto Adige e quella coreana?
L'utilizzo del cavolo fermentato: altro non sono i familiari crauti e l'esotico kimchi, specialità affini ottenute tramite un metodo di produzione antico ma valido, ancora oggi, sotto tantissimi punti di vista.
La fermentazione è infatti presente nelle culture gastronomiche di tutto il mondo che, dalla notte dei tempi, la utilizzano per conservare gli alimenti. Così, dalla panna acida tipica dell'est Europa alle salse piccanti sudamericane, sono tantissime le preparazioni che devono gusto e aspetto all'azione di lieviti.
E' un sapere antico che trae le sue origini proprio dalla necessità di conservare alimenti di varia natura al tempo in cui non esistevano molti rimedi tecnologici. Ancora oggi in alcuni mercati orientali vediamo esposti alimenti fermentati e in tutti i casi è indubbio che la fermentazione aiuti il processo di digestione, senza contare che spesso è associata alla longevità e che, secondo un recentissimo studio svedese, regalerebbe anche solidità alle ossa, combattendo la fisiologica fragilità dell'età.
I microrganismi, attraverso la produzione di enzimi, modificano alcuni elementi, soprattutto zuccheri, dando origine a composti e sostanze aromatiche che, a loro volta, cambiano sapore, consistenza e qualità degli alimenti.
Oltre ai già citati crauti e kimchi (che a differenza della ricetta nostrana è arricchito da peperoncino e spezie e, perciò, piuttosto piccante) sono molto diffusi, soprattutto in Giappone, i fermentati a base di soia. I più conosciuti sono il miso, pasta sapida che si usa un po' come il nostro dado per insaporire minestre e zuppe, e il tempeh, panetti di fagioli fermentati e pressati che, nella cucina vegana, sostituiscono la carne. Particolare è poi il natto, in cui i fagioli di soia sono avvolti da una pasta filamentosa.
Certo, alcuni di questi cibi hanno sapori forti cui non è facile abituarsi, ma possono essere aggiunti alle pietanze in piccole quantità, come condimento, per stemperarne il gusto intenso e cominciare, comunque, a sfruttarne le numerose proprietà.
Questi alimenti, infatti, sono naturalmente ricchi di fermenti probiotici e agiscono in modo positivo sull’equilibrio della flora intestinale, sul sistema immunitario e sull’assimilabilità dei complessi vitaminici. Inoltre, apportano enzimi, vitamine C, K e del gruppo B e hanno spiccate proprietà antiossidanti, depurative, disinfettanti e digestive.
Farli in casa
Come si diceva, le tecniche di fermentazione sono nate per conservare a lungo gli alimenti freschi. Così, non è difficile realizzare in casa le versioni più semplici a base di verdure croccanti come cavoli, rape, ravanelli, cavolfiore, sedano, finocchi, cetrioli. Gli ortaggi, perfettamente puliti e affettati sottilmente, si dispongono a strati in un vaso di vetro o ceramica spolverizzandoli di sale e aggiungendo, in alcune ricette, peperoncino, aromi, spezie, aceto o succo di limone. Quindi, si coprono con un peso e con una garza (deve poter circolare l'aria) e si lasciano fermentare, in un luogo fresco e buio (non in frigo), per alcuni giorni: da 3-4 fino 2-4 settimane per i crauti. Infine, si sgocciolano e si ripongono i vasi puliti, conservandoli in frigo, dove durano circa una settimana.
Per mantenerli più a lungo in dispensa, i vasi chiusi si possono pastorizzare, come si fa per le altre conserve, facendoli bollire per circa mezz'ora.
Le verdure fermentate si possono usare come contorno, da sole o mescolate a ortaggi freschi, crudi e cotti. Quelle più speziate sono perfette come condimento di riso e noodles.
Più semplice ancora la preparazione della smetana, una panna acida da usare per completare minestre vellutate e per accompagnare verdure bollite o al vapore. Mescolate 250 g di panna fresca e 250 g di yogurt greco. Aggiungete da 1 a 3 cucchiaini di succo di limone, coprite con un telo e fate riposare a temperatura ambiente per 8 ore, mescolando ogni tanto. Trasferite in un barattolo di vetro e tenete in frigorifero per 12 ore prima di utilizzarla: dura circa 1 settimana.
Quasi d'obbligo poi citare il kefir, una sorta di latte fermentato di origine caucasica che pare fosse conosciuto persino da Marco Polo.
Roberta Fontana
giugno 2016
aggiornato da
Emanuela Di Pasqua
febbraio 2019
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Foto: Flickr/FoodCraftLab