Ci accompagnano tutto l’anno, in cucina, in tavola e nelle bevande, ma raramente ce ne accorgiamo. Perché i limoni, pur essendo frutti nobili e pregiati, veri nutraceutici naturali perché ricchi di minerali, vitamine e antiossidanti (basti pensare a cosa hanno significato per combattere malattie mortali come la pellagra), sono diventati una “commodity” a cui si presta poca attenzione e a cui si dà spesso poco valore. Eppure un buon limone equivale a una porzione di frutta (perdipiù con pochi zuccheri) e può fare la differenza in un dessert, in un cocktail, in una tazza di tè, in una limonata rinfrescante, su un pesce crudo o in una gustosa paella. Inoltre, col suo sapore e il suo profumo, è un’ottima soluzione per ridurre l’uso del sale in cucina e quello degli zuccheri in pasticceria e nelle marmellate. Ecco cosa sapere se per fare un buon acquisto e individuare per ogni utilizzo il limone più adatto.
Come riconoscere la qualità
Un buon limone è sodo e pesante, e ha la buccia di colore uniforme. Se li si utilizzerà per spremute o limonate, allora è meglio preferire i limoni dalla buccia sottile e liscia, perché sono più succosi. Se invece i limoni verranno usati come ingrediente in cucina o in pasticceria allora sono più indicati quelli dalla buccia spessa e rugosa, che hanno meno polpa (e quindi meno succo) ma più scorza e albedo (ossia la parte bianca tra polpa e scorza). Una volta acquistati i limoni vanno conservati in frigo e durano fino a 6 settimane, mentre a temperatura ambiente non superano le 2 settimane.
Meglio italiani o stranieri?
Ci avete fatto caso: non c’è mese dell’anno in cui i supermercati siano privi di limoni. Da gennaio a dicembre in vendita ci sono sempre limoni freschi. Ovviamente, non sempre si tratta di produzioni nazionali, come si può facilmente notare leggendo l’etichetta (o il cartello esposto sui limoni venduti sfusi) dov’è obbligatorio indicare il paese dove sono stati raccolti. I limoni italiani sono abbondanti soprattutto nei mesi autunnali e invernali, anche se ormai, grazie al lavoro fatto sulle varietà e alla loro alternanza, e alle particolari tecniche di coltivazione (che permettono di ritardare la fioritura della pianta), il ciclo produttivo si è stato allungato e spesso fiori e frutti si trovano insieme sullo stesso ramo, insieme. Il limone è una specie rifiorente e a ogni fioritura corrisponde un tipo commerciale di frutto. I più pregiati e costosi sono i limoni che maturano per primi (i cosidetti “primofiore”), dal sapore intenso e dall’alta resa in succo che raggiungono quotazioni tanto più elevate quanto più la raccolta è precoce, e che restano in vendita sino ad aprile. Però l’Italia non produce abbastanza da coprire tutte le quattro stagioni e così compriamo limoni dall’estero, soprattutto da Spagna, Argentina e Tunisia. È soprattutto quando inizia il caldo che la richiesta di limoni viene soddisfatta dalle importazioni, prima con i verna spagnoli, senza semi e poco succosi, e poi con quelli che arrivano dall’altra parte del mondo, soprattutto da Argentina e Sudafrica.
Meglio biologici o non trattati?
Dopo il raccolto, per evitare che si degradino, renderli più “presentabili” e difenderli dalle muffe, i limoni possono essere trattati con sostanze chimiche (come i fungicidi o le cere) che restano in parte sulle bucce, rendendole non consumabili. Per questa ragione l’Unione Europea ha obbligato a indicare sulle etichette o nei cartelli esposti sulle cassette dei limoni sfusi, se dopo la raccolta, sono stati trattati con agenti conservanti o con altre sostanze chimiche. Gli agrumi devono aver scritto in etichetta “trattato con xxx” (ad esempio E903, ossia cera carnauba, oppure E904, ossia gommalacca) e "buccia non edibile”. Da qualche tempo succede anche il contrario: ossia che produttori che non sottopongono a trattamenti chimici i limoni lo evidenzino sulle confezioni, spiegando che la buccia si può tranquillamente mangiare. Tuttavia è possibile che per coltivarle siano stati utilizzati fitofarmaci che rimangono sulla scorza: occorre quindi sempre accuratamente la buccia, se si intende utilizzarla e consumarla. Meglio scegliere questi limoni “non trattati” o quelli ottenuti da agricoltura biologica? “L’importante è che i limoni non siano stati trattati in superficie, e quindi abbiano la buccia edibile. Il biologico è una scelta personale” spiega Elena Dogliotti, biologa nutrizionista della Fondazione Veronesi. La ragione è semplice: per sfruttare l’effetto antiossidante, antifiammatorio e antitumorale dei limoni occorre mangiarli tutti, senza scartare nulla, perché ogni parte di questi agrumi contiene particolari sostanze benefiche. Nella buccia c’è il limonene, una molecola antifiammatoria e antitumorale; nell’albedo si concentrano i polifenoli, come la catechina, mentre nella polpa si trovano la vitamina C e i minerali, come il potassio.
Meglio gialli o verdi?
Si parla sempre di “giallo limone” ma, a onor del vero, bisognerebbe parlare anche di “verde limone”, perché molti di questi agrumi restano verdi anche a completa maturazione (è il caso dei verdelli e dei limoni precoci). Eppure quando li andiamo a comprare li troviamo gialli. Com’è possibile? Perché questi limoni vengono sottoposti alla deverdizzazione: sono messi in celle dense di un gas naturale, l’etilene, che provoca la degradazione della clorofilla. Così nell’arco di 36-70 ore la scorza passa dal verde al giallo. Questo processo è sicuro, ma se viene condotto male (ossia a temperatura sbagliata) il limone perde turgore, il sapore diventa meno fresco, la resa in succo diminuisce e l’aroma si attenua. Risultato: il limone è meno “buono” e dura di meno. In alcuni casi, poi, la deverdizzazione è preceduta da un trattamento fungicida, necessario per difendere i limoni dai funghi. Dunque, se si cerca una spesa più “naturale” e più sostenibile i limoni verdi (cioé non deverdizzati) sono una buona scelta. E ormai li si trova sempre più spesso anche al mercato e al supermercato.
Manuela Soressi
giugno 2018