Al supermercato scegli tra decine di “ricette” diverse, tra confezioni monoprodotto o mix sempre più ricchi e invitanti. E quando sei a casa basta aprire il sacchetto e l’insalata è pronta da gustare. Senza lavaggi e senza scarti. Sulla praticità delle insalate in busta non si discute nè sul fatto che si trattò di un'intuizione geniale che avrebbe cambiato (nel suo piccolo) le abitudini alimentari dei consumatori.
Un po' di storia
Come tante invenzioni anche quella delle insalate in busta è stata incidentale. Narrano i fatti che Drew e Myra Goodman, compagni universitari e coniugi in California nonché contadini improvvisati, presero in affitto un piccolo appezzamento di terreno e iniziarono a coltivarvi vari tipi di insalata a foglia piccola e lamponi. Tutto rigorosamente biologico. Ogni domenica Myra prendeva un po' di lattuga, la lavava e la infilava in sette sacchettini di plastica, uno per ogni giorno della settimana, scoprendo che così trattata l'insalatina era facilmente fruibile e sempre buonissima. Finchè un giorno i Goodman lanciarono l'idea sul mercato e, dopo un iniziale scetticismo, le insalate in busta andarono a ruba. Era nato un nuovo business e correva l'anno 1986. Da quella data in poi le insalate in busta hanno rappresentato una piccola rivoluzione. tanto che poi è arrivata una legge a disciplinarne alcune aspetti, mentre il buon senso avverte che andrebbero usate alcune piccole precauzioni.
Il prezzo della comodità
Gli italiani lo sanno benissimo tanto che spendono oltre 800 milioni di euro l’anno per comprarle. Un paio di anni fa, a causa della crisi, le vendite erano diminuite, ma nel 2015 sono tornate a crescere (di circa il 3%). Le insalate in busta sono comprate da 19 milioni di famiglie che spendono per questi prodotti 34 euro l’anno (fonte Aiipa). Una spesa tutta sommato modesta per il budget familiare, anche se il costo resta il punto critico di questi prodotti, più cari rispetto alle insalate in cespo. Tanto per fare un esempio pratico un chilo di insalata mista che comprenda radicchio rosso, indivia scarola e indivia riccia costa mediamente 2,40 euro; mentre per lo stesso quantitativo in busta (quindi pronto al consumo) non si spende meno di 7,44 euro/kg. Un prezzo giustificato?
Falso problema
In realtà va detto innanzitutto che dalle analisi effettuate la leva del prezzo non risulta essere così strategica per lo sviluppo di IV e V gamma: i piatti pronti per il consumo hanno infatti un alto valore aggiunto e il consumatore li sceglie per la loro comodità, sanza badare troppo al costo (gli economisti direbbero che la curva della domanda è rigida). Anzi, stando alla ricerca dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza (clicca qui) che ha coinvolto un campione di circa 600 famiglie, i consumatori italiani non hanno nemmeno un'esatta percezione del prezzo di questi prodotti.
Dal campo alla busta
Dietro ogni insalata in busta ci sono una filiera ben strutturata e organizzata e una lavorazione complessa, fatta in tempi rapidi e con tecnologie costose, necessarie per garantire prodotti sicuri e di qualità.
La filiera della “quarta gamma” (clicca qui) (come si chiama in gergo tecnico l’ortofrutta già pulita e tagliata) richiede investimenti notevoli già a partire dai campi per dotarsi di serre ipertecnologiche, in cui sono coltivate alcune varietà, e per i macchinari “di precisione” destinati alla raccolta. Gli stabilimenti sono dotati di celle coibentate e di linee di produzione dove le insalate vengono mondate, selezionate, tagliate, pulite, lavate, risciacquate e asciugate.
C’è molto scarto (si arriva a buttarne il 50%) e serve molta acqua: di solito si fanno almeno tre lavaggi consecutivi, ma per alcune varietà particolari (come scarola e riccia) si arriva a cinque lavaggi.
La logistica e i controlli
Poi c’è da organizzare in maniera efficiente la logistica, che deve garantire la consegna del prodotto in tempi brevi e il rispetto della catena del freddo, sennò addio freschezza. Il timing è preciso: gli agricoltori consegnano l’insalata negli stabilimenti, la sera o di prima mattina. Il prodotto viene controllato e - se risponde ai requisiti richiesti - mondato, lavato, asciugato, controllato al metal detector e stoccato in una cella refrigerata. Entro l’ora di pranzo si raccolgono gli ordini provenienti dai punti vendita della Gdo e si programma la produzione del pomeriggio. Un lavoretto complicato visto che le aziende del settore offrono 500-750 prodotti diversi, realizzati a partire da una trentina di varietà differenti.
Dall'azienda al banco frigo
Nel giro di 3-4 ore le insalate vengono confezionate e caricate su furgoni refrigerati per raggiungere i supermercati, dove saranno messe in vendita l’indomani mattina.
Riassumendo: passano al massimo 24 ore tra quando le insalate vengono raccolte e quando vengono esposte nei banchi frigo dei negozi. Lì resteranno in vendita per sei-sette giorni: dopo la data di scadenza indicata in etichetta devono essere ritirate e buttate come rifiuti
Costi e prezzi raddoppiati
Dunque, per i commercianti le insalate invendute rappresentano un doppio costo: mancato incasso e spese per lo smaltimento dei rifiuti. E questo spiega perché le catene distributive le ordinino giorno per giorno, dopo aver verificato le scorte a scaffale. Ma anche perché il prezzo delle insalate in busta raddoppi (e a volte si moltiplichi per tre) nel percorso dal produttore alle nostre case.
Manuela Soressi
Foto fliera: Ortoromi (foto 1, 3 e 4), Dimmidisì (foto2)
13 maggio 2016
aggiornato il
14 febbraio 2018
da Emanuela Di Pasqua