Li leggete nelle nostre ricette, ma anche nei libri o in rete. Li ascoltate dagli amici che vi raccontano una ricetta e nei programmi di cucina in televisione. Ma forse non sempre conoscete l’esatto significato dei verbi relativi ai diversi metodi e fasi di cottura. Per non dire che, a volte, capita di usarli a sproposito, confondendo un’operazione per l’altra e commettendo errori tecnici e... di italiano! Che differenza c’è fra cucinare e cuocere? Bollire e lessare sono la stessa cosa? E un brasato e uno stufato? Per evitare fraintendimenti, che potrebbero compromettere l’esecuzione delle ricette, abbiamo pensato a un glossario. Pronti a consultarlo?
Si cucina o si cuoce?
Partiamo proprio dai due principali verbi che definiscono l’esperienza ai fornelli. E che, negli ultimi tempi, vengono spesso confusi e usati erroneamente come sinonimi. Mentre hanno significati precisi, e non intercambiabili. Del resto, c’è una differenza fra saper cuocere un uovo e sapere cucinare le uova!
- Cucinare. Il significato corretto è preparare e cuocere pietanze e pasti. Identifica l’insieme delle operazioni, con ingredienti, dosi e tecniche, che si eseguono per ottenere un piatto, un intero pasto o un menu. A proposito: soprattutto nei reality, vi sarà capitato di sentir dire “cucinata” per indicare una sessione di preparazione: “È stata una bella cucinata”, “Ci siamo impegnati nella cucinata”... Sebbene stia diventando piuttosto comune, il termine non è un sostantivo, quindi l’uso è quantomeno improprio!
- Cuocere. È un verbo generico che significa sottoporre un alimento al calore. Ma anche essere sottoposto alla cottura. In senso letterale: l’arrosto cuoce nel forno. O... in senso figurato: con il forno acceso e il caldo che fa in cucina, sto cuocendo! Scherzi a parte, il supporto scelto per cuocere, la tecnica impiegata, l’intensità del calore e persino gli ingredienti sono tutte variabili che spesso richiedono l’utilizzo di verbi più specifici.
In padella
Le cotture in padella possono avvenire a fuoco alto o a fiamma dolcissima, in un grasso abbondante o con poco condimento, con o senza l’aggiunta di un liquido. Tante le variabili, tanti i verbi per indentificarle!
- Crogiolare. È un verbo mutuato dalla lavorazione del vetro che indica una cottura lenta, a fiamma decisamente bassa, con poco grasso e giusto un filo di liquido, aggiunto per evitare che l’alimento prenda colore. Si usa spesso per il fondo di cipolla che fa da base ai risotti. E, a volte, anche per la fase di tostatura dei chicchi, che deve avvenire sì nel tegame ben caldo, ma non a fiamma troppo violenta, per evitare che il fondo bruci mentre il riso prende il necessario calore. Quello che renderà i chicchi resistenti alla cottura.
- Dorare. Se state cucinando in padella, può indicare friggere (vedi) finché l’alimento assume un bel colore oro, diventando al contempo croccante. Può indicare anche il grado di rosolatura, da interrompere quando il cibo è colorito, ma prima che cominci a scurire. Infine, si può dorare anche in forno, per esempio quando si gratina (vedi).
- Friggere. Prevede che l’alimento sia a contatto con un grasso portato ad alta temperatura. La quantità del grasso cambia secondo le ricette. Ci sono preparazioni, come le cotolette, che ne vogliono poco: deve arrivare circa a metà dell’alimento, che per dorare in modo uniforme deve essere girato. Altre, come le patatine o le frittelle, si cuociono in immersione, in padelle a bordi alti con 3-4 dita abbondanti di olio. In tutti i casi, al momento di aggiungere gli alimenti il grasso deve essere già ben caldo e la fiamma moderata, per non bruciare l’esterno prima che l’interno sia cotto.
- Imbiondire. È una via di mezzo fra crogiolare (vedi) e soffriggere (vedi). Si imbiondisce a fiamma dolce, eventualmente con l’aggiunta di poco liquido, fermandosi quando l’ingrediente accenna a colorire leggermente.
- Rosolare. Letteralmente, significa cuocere finché l’alimento diventa “rosa”, quindi ben colorito. Anche questa cottura avviene, a temperatura medio-alta, in poco grasso o senza grassi aggiunti se l’ingrediente ne contiene già di suo: è il caso di salumi come pancetta e guanciale, che rosolano “in se stessi”, senza altri condimenti.
- Soffriggere. È una cottura nel grasso mantenuto a una temperatura appena inferiore a quella di frittura, con fiamma moderata. Spesso usato come sinonimo di rosolare, in realtà è più affine a imbiondire. Tant’è che il soffritto classico, quello di sedano, carota e cipolla, non deve mai prendere un colore deciso ma risultare morbido, leggermente dorato, con cipolla e sedano trasparenti ma non bruniti.
- Saltare. Stiamo parlando di una cottura veloce e affine, per tempi e condimenti, alla rosolatura. Se ne differenzia perché prevede che gli ingredienti, a piccoli pezzi, siano rimescolati continuamente, facendoli appunto saltare nella padella, smossa tramite il manico, o rigirati con una paletta. Il risultato è una doratura finale intensa e ben distribuita.
- Trifolare. Indica una tecnica di cottura, usata soprattutto per funghi, rognoni, zucchine che si fanno leggermente rosolare (vedi) con olio e aglio e si rifiniscono con il prezzemolo. Il termine deriva da “trifola”, la parola usata in Lombardia e Piemonte per chiamare il tartufo: gli ingredienti impiegati in questa cottura, infatti, sono affettati a lamelle sottili, proprio come il pregiato tubero.
In casseruola
Le cotture che avvengono in pentole ampie cambiano a seconda della quantità di liquido, sempre presente, dell’intensità della fiamma e del tipo di ingredienti utilizzati.
- Bollire. Semplicemente, cuocere in abbondante acqua bollente. In realtà, sono pochissime le preparazioni che si fanno realmente bollire perché, mantenuta a 100° gradi, l’acqua turbolenta ha un’azione violenta sui cibi, che rischiano di sfaldarsi e smembrarsi. In pratica, si possono bollire con successo solo alcuni ortaggi consistenti o a cottura rapida, come le patate intere o i fagiolini, la pasta, il riso e altri cereali in chicchi da scolare e condire in un secondo momento, anche se ormai è entrato nell'uso comune il termine lessare (che va bene per tutto il resto, vedi).
- Brasare. Il termine deriva da “brace” e si rifà all’abitudine passata di disporre le pentole in un angolo del camino, posate sui tizzoni più o meno ardenti ma lontane dalla fiamma: così, la cottura avveniva lentamente, a calore abbastanza dolce. Si può brasare sia sulla fiamma che in forno, a temperatura sempre moderata. La tecnica prevede sempre una rosolatura iniziale, poi l’aggiunta di un liquido (brodo, semplice acqua o la marinata in cui ha riposato l’ingrediente prima della cottura): questo, in genere, arriva circa a metà degli alimenti da cuocere. Si applica alle carni, dal brasato (appunto) agli spezzatini, e ad alcune verdure a cottura lenta come per esempio cavoli, verze, finocchi.
- Lessare. Pur essendo una cottura in acqua, si differenzia dal bollire (vedi) perché avviene a qualche grado in meno rispetto alla piena ebollizione del liquido, che può anche essere un brodo leggero o, nel caso dei pesci, il cosiddetto court bouillon, acqua aromatizzata con verdure odorose, erbe e spezie. Di fatto i due termini (bollire e lessare) sono usati indifferentemente, anche se la lessatura è più rispettosa degli alimenti ed è indicata per le carni e per gli ortaggi che vogliono tempi lunghi, ma non una cottura aggressiva. È il caso dei legumi: se fatti bollire vigorosamente, le bucce scoppiano e fagioli, lenticchie o ceci rischiano di spappolarsi. Al contrario, lessati lentamente, restano integri ma teneri.
- Sobbollire. È una bollitura leggerissima, che si ottiene regolando la fiamma al minimo (eventualmente, anche con l’utilizzo di una retina spargifiamma) così che il liquido “frema” appena, formando solo qualche leggera bolla sporadica. Si fanno sobbollire le minestre, i ragù alla napoletana, le zuppe, i guazzetti, le salse di pomodoro e tutte quelle preparazioni che necessitano di gentilezza e tempi abbastanza dilatati.
- Stufare. Affine al brasare (vedi) è una cottura lenta, a calore dolce, che avviene in una quantità di liquido che non copre gli ingredienti. A differenza della brasatura, in genere gli ingredienti stufati non subiscono un’iniziale rosolatura.
Ad alta temperatura
Quando la fiamma si alza, le cotture si fanno vivaci e i relativi verbi... fanno venire subito l’acquolina in bocca!
- Arrostire. È una tecnica dalle tante varianti. Si arrostisce in forno, in tegame, in padella o persino allo spiedo. Questi metodi hanno comunque punti in comune. Per cominciare, il cibo deve essere avvolto da un velo di grasso, in genere olio o burro. Il condimento può essere spennellato sull’alimento, oppure versato nel recipiente di cottura e irrorato anche sulla superficie del cibo. Gli ingredienti a pezzi piccoli, come le patate o le costine, si possono condire alla perfezione in una terrina, rigirandoli con le mani insieme al grasso scelto e agli altri insaporitori (sale, pepe, eccetera). La temperatura è sempre medio-alta e il cibo deve essere girato più volte così da colorire in modo uniforme. È una cottura da controllare spesso, per evitare annerimenti più o meno spinti.
- Gratinare. È la tecnica che si usa, in forno, per cuocere o rifinire i piatti ottenendo crosticine dorate. Si usa per le teglie di pasta al forno, per crostacei e frutti di mare in conchiglia, per le verdure alla besciamella o ripiene. L’alimento da gratinare è sempre protetto da una copertura, che poi è quella destinata a dorare: besciamella e parmigiano, pangrattato aromatico e così via. Il processo è aiutato dall’aggiunta di un filo d’olio o fiocchetti di burro. Una buona gratinatura si può ottenere con la funzione ventilata del forno, da avviare alla fine della cottura tradizionale, o con il grill, da controllare con attenzione perché agisce in pochissimi minuti. La prima funzione è indicata per pietanze dalla cottura medio lunga (come le lasagne), il grill per quelle a cottura brevissima, come le capesante.
- Grigliare. È tecnicamente una cottura arrosto che avviene su una graticola posta sulle braci, ma anche su una piastra o bistecchiera in ghisa o altro materiale da scaldare sul fornello. Rispetto ad arrostire, grigliare consente una coloritura più spinta fino alla formazione delle tipiche “grill marks”, le righe di cauterizzazione scure, quasi nere, che conferiscono ai cibi il tipico gusto leggermente affumicato.
- Tostare. Significa dorare in forno o in padella. È un’azione che ha effetto solo sulla parte esteriore dell’alimento che, in realtà, non ha bisogno di essere cotto ma solo di sviluppare l’aroma, assumere un colorito gradevole e/o una consistenza croccante. Si tostano il pane (anche nell’apposito elettrodomestico), la frutta secca intera o in granella, le spezie come semi di cumino o il pepe da macinare per una strepitosa carbonara. La temperatura medio-alta deve essere regolata in base all’alimento: pinoli, mandorle e affini bruciano velocemente, il pepe è sicuramente più resistente. Si dice che si tosta anche il riso per il risotto: più propriamente, questo avviene quando i chicchi sono scaldati a secco, per poi essere uniti al fondo e portati a cottura. Se, invece, sono aggiunti in un grasso e/o in un soffritto, si parla più propriamente di crogiolare (vedi).
Francesca Romana Mezzadri
gennaio 2022