Sono sempre di più gli italiani che, quando fanno la spesa, oltre a qualità e prezzo prendono in considerazione aspetti legati alla sostenibilità di ciò che stanno acquistando. Ma effettivamente, come capire se un prodotto, confezionato o fresco, è sostenibile? O se la tanto strillata virtuosità non sia figlia del cosiddetto green washing, la tecnica di marketing ingannevole che, con una “pennellata di verde”, tenta di catturare l’attenzione del pubblico più sensibile ai temi ambientali ed etici?
Secondo una ricerca di Coldiretti e Altroconsumo, già nel 2020 2 italiani su 3 erano propensi a fare acquisti in punti vendita dal “cuore” green, anche cambiando indirizzo di riferimento. Da un altro studio recente dell’Osservatorio packaging del largo consumo, curato da Nomisma, è emerso che 6 nostri connazionali su 10 sono consapevoli delle problematiche legate ai cambiamenti climatici. Molti di loro, tra i vari atteggiamenti adottati, prediligono confezioni e incarti ridotti al minimo o comunque interamente riciclabili. Aspetti che è facile valutare anche a occhio, orientando la scelta verso prodotti sfusi, vaschette in carta, film in bioplastiche smaltibili nell’umido e così via.
Più difficile giudicare il prodotto vero e proprio, andando oltre le sue specifiche intrinseche - il sapore e gli altri caratteri organolettici, il buon rapporto qualità/prezzo, eccetera - in cerca di virtù “etiche”.
Per verificare la sostenibilità di un prodotto, gli aspetti principali da considerare sono l’impatto ambientale e quello sociale. Nel primo caso si tratta di vedere come la lavorazione abbia inciso sull’ambiente, le emissioni inquinanti, il territorio, ma anche sul benessere degli animali e per quanto riguarda la salvaguardia della biodiversità.
Il secondo aspetto da valutare è come il processo produttivo influisca sulle persone addette, ma anche sulle comunità, per esempio creando più lavoro sul territorio, oppure migliorando le condizioni di vita delle popolazioni circostanti.
Stabilite le regole, non sempre è immediato individuare se sono state seguite dalle aziende. Un aiuto viene dall’etichetta o dalla confezione, dove chi ha mantenuto una filosofia sostenibile può apporre i bollini rilasciati da enti indipendenti che la certificano, come Fairtrade per il commercio equosolidale, Msc per i prodotti ittici (in basso), Ecolabel per i prodotti per la pulizia della casa o della persona, e così via.
Per orientare le nostre scelte di acquisto, ci sono dunque da considerare almeno 5 aspetti rivelatori della “natura” del prodotto in questione.
Di che materiale è fatta? Come la smaltirò? È assolutamente indispensabile, per quel prodotto, scegliere quel materiale? Oppure esistono alternative di medesima qualità con pack più ecologici?
È una fonte di informazioni preziose. Ci può dire da dove arriva quello che stiamo comprando, ed è palese che un frutto coltivato dall’altra parte del mondo avrà un impatto diverso dallo stesso coltivato in Liguria o in Sicilia. O magari identifica un prodotto biologico, ottenuto con buone pratiche agricole. Sono solo esempi delle indicazioni che rendono l’etichetta una utilissima carta di identità.
Come abbiamo visto, sia i packaging che le etichette riportano sempre più spesso tutta una serie di loghi di enti terzi che attestano la sostenibilità dei prodotti. Cerchiamoli! Ma attenzione a...
Slogan, simbolini fantasiosi, numeri, percentuali: spesso sono “inventati” e/o apposti dai produttori giocando sul filo della legalità (quindi, senza arrivare a fare pubblicità ingannevole), pur essendo privi di vero significato. È il caso di chi, sugli incarti, fa generici richiami a concetti aleatori tipo “naturalità” o “genuinità”. E, per esempio, vanta che il suo riso, la sua confettura, il suo olio sono... 100% plant based!
Una volta a casa con il nostro prodotto possiamo consultare i canali online del produttore. Anzi, sempre più spesso possiamo farlo già al negozio, grazie a QR code che, inquadrati, ci rimandano alla sua storia, alla strada percorsa, all’impatto avuto sull’ambiente e così via. Utilizziamoli!
Per capire, in pratica, come un’azienda risponda a queste domande, ne abbiamo parlato con Thomas Straub, AD di Ritter Sport Italia, che conferma: “Con i bollini le aziende comunicano direttamente sul prodotto”. E anche se questo tipo di informazioni non sono il richiamo principale, è importante che ci siano: “È vero che i consumatori oggi vogliono che tutto sia sostenibile, ma il cioccolato resta pur sempre un prodotto di impulso, di piacere”, continua Straub. “Per chi è interessato, il pack è comunque un primo veicolo per le informazioni”. L’azienda tedesca delle tavolette di cioccolato quadrate ha sposato il tema da tempi non sospetti, già dal 1990, all’indomani dell’incidente nella centrale nucleare di Chernobyl, con una strategia articolata difficile da condensare in un bollino.
Il resto del racconto si trova dunque in rete. Dove vige un’unica regola: “La credibilità. Noi non parliamo tanto, ma se parliamo è di qualcosa che abbiamo fatto”, sottolinea ancora Straub. Così, sul loro sito il consumatore può scoprire che l’azienda ha raggiunto la neutralità climatica con l’impiego di energia esclusivamente green, di cui quasi 2/3 autoprodotta da pale eoliche e impianti fotovoltaici di proprietà; che dal 2018 il cacao è 100% sostenibile, certificato Rainforest Alliance e Fairtrade, e una parte proviene da El Cacao, piantagione in Nicaragua che segue i dettami dell’agricoltura integrata, per tutelare la biodiversità; infine, che il brand si colloca al sesto posto della Chocolate ScoreCard 2023, classifica dei marchi di cioccolato sostenibili realizzata dalla Ong Be Slavery Free. I risultati sono riportati in #discoverthegood, il bilancio di sostenibilità 2021-2022 giunto quest’anno alla quinta edizione.
Proprio come quello finanziario, il bilancio di sostenibilità è una rendicontazione delle strategie messe in atto da un azienda per raggiungere obiettivi ambientali e sociali. Non ancora obbligatorio, è regolamentato da una direttiva del Parlamento Europeo che per ora riguarda la grande industria, con l’obiettivo di coinvolgere nei prossimi anni anche le piccole e medie imprese. Chi, già da qualche anno, lo redige in maniera autonoma lo diffonde attraverso i suoi canali ai cosiddetti stakeholder: dai dipendenti ai fornitori, dagli investitori ai clienti e alle comunità. In pratica, a tutti noi. Che possiamo “indagare” tra siti e social delle imprese per consultare e verificare dati, rapporti e resoconti sulle diverse attività.
Comunicare la sostenibilità può essere, tuttavia, un’arma a doppio taglio: “È una parola d’ordine passepartout e, purtroppo, spesso se ne abusa”, sottolinea Natalia Borri, presidente e Chief creative director di Ad Store, agenzia internazionale di comunicazione creativa. “I tempi sono cambiati, le persone sono veramente molto più informate e connesse, desiderose di conoscere e di agire. Soprattutto, se quello che dichiari non corrisponde a quello che fai in un attimo ti smascherano. E parte la shitstorm”. Ecco allora che le parole d’ordine devono cambiare: “Occorrono trasparenza e verità, avere la certezza di non vendere fumo. Oggi le persone non comprano più solo quello che offri ma perché lo fai: si è passati dal cosa al perché. Il primato spetta al purpose, lo scopo. Il nostro lavoro consiste nell’aiutare le aziende a fermarsi e definire chi sono, in cosa credono, quale visione hanno del mondo futuro”. Il passaggio, conclude Borri, “deve essere dallo storytelling allo story doing”.
Fatti, non parole, come recitava un vecchio claim pubblicitario. Soprattutto per chi si rivolge a un target giovane, considerando che sono proprio i cosiddetti Millennial e appartenenti alla Generazione Z i principali attori di questa rivoluzione. Le strategie di comunicazione più azzeccate sono dunque quelle capaci di coinvolgerli attivamente, anche con la creazione di campagne come quelle contro gli sprechi alimentari tese a rendere partecipi i consumatori con azioni concrete. Come sintetizza Borri: “Far diventare i clienti motore attivo, anzi, proattivo del cambiamento”.
Francesca Romana Mezzadri
Foto di apertura e computer Freepik
Febbraio 2024