Tutto il mondo ci invidia il risotto! È il primo piatto più elegante della cucina italiana e, a ben guardare, non è semplicemente una ricetta ma una tecnica di cottura articolata che, nel tempo, ha subito anche qualche evoluzione degna di nota. Conoscere ingredienti e step di preparazione permette di applicarli a innumerevoli varianti. Siete pronti a un ripasso delle regole d’ingaggio per risotti al top?
Partiamo allora dagli 8 passaggi in breve per fare un risotto perfetto.
1 Si fa il soffritto in olio o burro (se previsto).
2 Si tosta il riso nel soffritto, nel solo grasso o a secco.
3 Si sfuma eventualmente con il vino (o altro liquido), lasciandolo evaporare bene.
4 Si inizia a versare il brodo bollente, un mestolo per volta, mescolando bene dopo ogni aggiunta.
5 Si unisce altro brodo solo dopo che il precedente è consumato.
6 Si spegne, si uniscono gli ingredienti per la mantecatura e si amalgama bene.
7 Si regola se occorre di sale.
8 Si mette il coperchio e si attendono un paio di minuti prima di servire.
Questo, per farla semplice. Per saperne di più, leggete i prossimi paragrafi di approfondimento!
Il riso
Non si può che partire dall’ingrediente principale. Anzi, l’Ingrediente, con la maiuscola! Parliamo naturalmente del riso. Quello adatto ha chicchi che tengono bene la cottura, che non si spezzano e conservano un cuore al dente. Al tempo stesso, devono rilasciare la giusta quantità di amido necessaria a creare la manteca, la componente cremosa che lega il risotto. Corrispondono a queste caratteristiche i celebri Carnaroli, Arborio, ma anche Baldo e Roma: tutte qualità con chicchi lunghi e grossi, fanno parte della categoria dei superfini, i più pregiati risi italiani. In particolare, il Carnaroli assorbe bene i sapori senza “cedimenti”: così, arriva in tavola gustoso e con la texture ideale. Molto apprezzato è anche il Vialone nano: i chicchi sono più piccoli (si tratta infatti di un semifino), ma capaci di conservare la giusta consistenza. Inoltre, ha tempi di cottura di qualche minuto più brevi dei superfini, motivo che lo rende apprezzato in molte cucine professionali in cui il risotto espresso può creare problemi di timing. A proposito di tempi di cottura: quelli del risotto vanno dai 14 ai 18 minuti, calcolati dalla prima aggiunta di liquido.
Il tegame
Non una casseruola alta e stretta, non una padella bassa e larga, ma la giusta via di mezzo: per il risotto si usa un tegame preferibilmente a pareti dritte, alte ma comunque di lunghezza inferiore al diametro della pentola. I materiali adatti devono distribuire bene il calore, come fanno rame e alluminio. Il fondo deve essere spesso per evitare al riso di attaccarsi. Per lo stesso motivo sono adatti anche dei buoni tegami antiaderenti.
Il soffritto
Qui la domanda è: sì o no? E la risposta è: dipende. Partiamo dalla ricetta più codificata che prevede di crogiolare nel grasso (tipicamente burro, ma anche olio) un trito fine di cipolla o scalogno prima di unire e tostare (vedi) il riso. Questa tecnica presenta una problematica: il bulbo scelto deve cuocere a calore moderato per rimanere morbido e non prendere troppo colore. Mentre il riso deve tostare a calore deciso. Ecco che allora le due operazioni si possono eseguire separatamente. Quindi, si può fare il soffritto in un tegame, tostare il riso in un altro, poi riunire le due basi e procedere con la ricetta. L’uovo di Colombo è la tecnica ideata dal maestro Gualtiero Marchesi, quella del cosiddetto “burro acido”: in pratica, un burro aromatizzato con scalogno e vino bianco, poi filtrato in modo da conservare solo la parte grassa, che non viene usato all’inizio ma aggiunto solo alla fine, in fase di mantecatura (vedi). Se comunque siete del team soffritto, badate che scalogno o cipolla siano ben tritati, in pezzi più piccoli di un chicco di riso.
La tostatura
Selezionato con tanta cura, il riso deve essere trattato con tutte le accortezze del caso. Durante l’esecuzione della ricetta, ogni passaggio ha lo scopo di esaltare la materia prima. A partire proprio dalla tostatura, che permette in un certo senso di “sigillare” i chicchi e garantisce la tenuta della loro “anima”. Questo passaggio si esegue versando il riso nel tegame ben caldo e rimescolando i chicchi finché diventano traslucidi, quasi trasparenti, e “cantano”, ovvero scricchiolano lievemente. Il fenomeno è più evidente se, come vuole la tradizione, la tostatura si fa nel grasso, in cui il riso sfrigola allegramente. Tuttavia, ricette più moderne e leggere hanno preso a tostare a secco, semplicemente nel tegame ben riscaldato sulla fiamma. Per provare se il riso è caldo al punto giusto, potete avvicinare la mano a qualche millimetro di distanza (senza toccarlo, per non scottarvi): dovreste sentire un calore deciso e quasi insopportabile che ve la fa sollevare velocemente! Un pizzico di sale unito in tostatura insaporisce subito i chicchi.
La sfumatura
Per sfumatura si intende l’aggiunto di un liquido alcolico, in genere vino bianco, a “spegnere” la tostatura. Oggi, in molti preferiscono evitare questo passaggio e partire direttamente con il brodo per evitare che la preparazione conservi un’acidità troppo spiccata. Lo stesso risotto “alla Marchesi” è tostato e portato a cottura saltando questa fase (il vino, evaporato, profuma il suo burro acido). Altri cuochi continuano ad apprezzare le note, anche aromatiche, che il vino apporta al piatto finito: se siete fra loro, è importante far evaporare completamente l’alcol, finché al naso non ne percepite più il sentore.
Il brodo
Il brodo più adatto per i risotti di terra è leggero ma non del tutto magro: quello di pollo risulta vincente per le più classiche ricette lombarde, mentre nei robusti risotti piemontesi, come quello al Barolo, si usa anche di manzo. Il brodo vegetale è comunque indicato nelle preparazioni a base di ortaggi come il risotto alla trevisana. La base di quelli di mare sarà invece un fumetto, magari preparato con gli scarti di pesce, crostacei e molluschi usati per arricchire il piatto. I puristi (fra cui molti chef di alta cucina), che amano esaltare al massimo il gusto naturale delle varietà più pregiate, “tirano” il riso con semplice acqua. Quale che sia il liquido scelto, l’importante è che sia bollente, tenuto su un fornello regolato al minimo accanto al tegame in cui cuoce il riso. Si unisce un mestolo per volta, girando sempre dopo ogni aggiunta senza lasciare chicchi “all’asciutto” sulle pareti della pentola. Si attende che il precedente sia consumato, prima di unirne altro. È preferibile che non sia salato o lo sia solo leggermente: sia perché potrebbero esserlo altre componenti del piatto, come la salsiccia, sia perché in fase di mantecatura spesso si unisce un formaggio, che naturalmente apporta sapidità. Molti hanno dubbi sulla quantità necessaria: in genere, si calcola una misura di brodo che corrisponda a circa 4 volte il peso del riso, abbondando se si preferisce all’onda, ovvero morbido e cremoso. Meglio averne a disposizione un po’ di più che un po’ di meno!
Le aggiunte
A seconda delle ricette, ci sono ingredienti che si mettono subito, a partire dal soffritto, altri che si aggiungono appena prima del primo mestolo di brodo, altri che si cuociono a parte e/o si uniscono a metà, altri ancora alla fine... Per orientarsi, occorre considerare dimensioni, qualità, quantità e tempi di cottura. Ecco allora alcuni esempi. Una dose non eccessiva di salsiccia sgranata può crogiolare con la cipolla prima di tostare il riso, ma se è molta, o molto grassa, meglio dorarla a parte e aggiungerla a risotto avviato. I dadi di zucca, le fettine di carciofi o altri ortaggi si uniscono di preferenza al riso già tostato per non “interferire” con questo processo. I gamberi e gli scampi si mettono ancora crudi solo a pochissimi minuti dal termine: per dar sapore alla pietanza, potete usare i loro scarti (teste e gusci) per il fumetto o per insaporire il soffritto, eliminandoli prima di versare il riso. Lo zafferano si scioglie nell’ultimo mestolo di brodo altrimenti, durante la lunga cottura, l’aroma si volatilizza. Le erbe profumano il fondo crogiolato ma si tolgono quasi subito, per evitare che le foglioline si disperdano nel riso finendo sotto i denti.
La mantecatura
È la fase finale della preparazione, che avviene rigorosamente a fuoco spento: si manteca unendo uno o più ingredienti grassi, che si mescolano finché sono perfettamente sciolti e amalgamati nel risotto. La mantecatura classica è con burro (anche “acido”, come quello di Marchesi) e parmigiano grattugiato. Il burro deve essere freddo, appena tolto dal frigo: lo shock termico, che si sviluppa a contatto con il calore del riso, crea la magica “cremina” che avvolge i chicchi e lega il piatto. Le varianti sono infinite. Si possono usare altri formaggi da grattugia come grana o lodigiano, cremosi come taleggio e gorgonzola, freschi come caprini e robiole. Invece del burro, è naturalmente ammesso l’olio, adatto soprattutto alle ricette delicate di orto e mare. Al termine, è d’obbligo assaggiare così da regolare, se occorre, di sale.
Il riposo
Avviene subito dopo la mantecatura: il tegame si copre con il coperchio e il risotto si lascia riposare un minuto o due, durante i quali la manteca e i sapori si assestano. Prima di servire, può essere necessario allungare il riso con poco altro brodo: vi siete ricordati, vero, di averne a disposizione un po’ di più?
Come si serve
Il risotto all’onda, lento e cremoso, andrebbe servito nel piatto piano, versandolo al centro e allargandolo con colpetti leggeri del palmo della mano sul fondo esterno. Se vi piace più sostenuto, potete servirlo nella fondina o persino in forma, aiutandovi con un coppapasta. È il momento di andare in tavola e... buon risotto a tutti!
febbraio 2022