Imparare le migliori tecniche per diventare un sushi chef è ora possibile anche in Italia, grazie alla Italy Sushi Cup
Professionisti di tutta Italia con il sogno di diventare maestri di sushi la vostra occasione è arrivata. L’appuntamento è per fine maggio a Vercelli (capitale europea del riso) con la prima Italy Sushi Cup, in cui verrà nominato il migliore sushi chef che avrà l’onore di rappresentare per la prima volta l’Italia, in occasione delle finali mondiali del World Sushi Cup 2025 di Tokyo ad agosto. Un traguardo molto ambito da tanti chef che, in ogni parte del mondo, anelano a questa onorificenza per decretare la loro abilità nelle tecniche di sushi e sashimi. La Italy Sushi Cup si affida per l’organizzazione di questo evento all’Associazione Italiana Ristoratori Giapponesi (AIRG) che ha sede a Milano, dove la cultura del vero sushi nipponico è ben radicata.
Si tratta di una competizione che si svolge annualmente a Tokyo dal 2014 e che vede sfidarsi chef di ogni nazionalità, eccetto i giapponesi, in una vera e propria arte, che è quella del sushi. La manifestazione, sostenuta dal Ministero Giapponese di Agricoltura, Silvicoltura e Pesca è promosso dall’AJSA - All Japan Sushi Association, e dal World Sushi Skill Institute (WSSI). Quest’ultimo è l’unico Istituto di formazione riconosciuto dal Governo giapponese per l’insegnamento professionale del sushi fuori dal Giappone. Obiettivo del WSSI è quello di preservare e diffondere la tradizione del sushi, formando chef professionisti in tutto il mondo e certificandone le competenze attraverso esami rigorosi. Per questo, per poter partecipare alla gara, è richiesto a ogni candidato il superamento del corso di formazione base del WSSI, che assicura la padronanza delle tecniche fondamentali del sushi, unendo la conoscenza delle antiche pratiche tradizionali a un’estrema attenzione per l’igiene, fattore molto importante per ogni chef giapponese.
Secondo la tradizione giapponese, offrire un piatto di sushi è dare un tocco di felicità alle persone. Si capisce quindi l’importanza che ha questo tipo di preparazione per tutto il popolo del Sol Levante. Ogni piatto deve rispettare la regola del 5, che per i giapponesi è un numero sacro, un numero che testimonia la sintonia con il creato: 5 devono essere i colori, 5 i sapori, 5 le cotture e 5 gli insaporitori. Una preparazione che rispetti queste norme è in armonia con le divinità, che hanno permesso un buon raccolto; con gli ospiti, che apprezzeranno il cibo; con la natura, che manifesta la sua grandezza attraverso i suoi frutti. Ogni gesto, nella creazione di una portata di sushi, diventa una forma di arte, come fosse una composizione di fiori. I colori, per esempio: un piatto che contenga il rosso, il bianco, il nero, il giallo e il verde, oltre ad essere armonioso alla vista, conterrà ogni nutriente necessario per una alimentazione bilanciata. Tutto è poi legato al moritsuke, ossia all’arte dell’impiattamento: se dovesse mancare l’ingrediente di un colore, si utilizzerà una stoviglia di quella nuance, così almeno visivamente i colori saranno tutti presenti. Il bianco, nella cultura giapponese, simboleggia la purezza e la spiritualità, il nero l’eleganza e la forza, il verde l’equilibrio e il rapporto con la natura, il giallo l’energia e la vitalità, il rosso la fortuna e la benedizione divina. Tutto in questa cultura è permeato dal sacro. Ogni preparazione dovrà rispettare anche l’edomae, lo stile della Baia di Tokyo, sia per come sarà confezionato il piatto, sia per la forma che avrà ogni boccone. “In Giappone, come in Italia – precisa Annalena De Bortoli di AIRG – ogni regione ha le proprie forme e i propri sistemi di utilizzo del riso e degli altri ingredienti. Il sushi che noi conosciamo in Occidente è soltanto una parte del sushi che si può mangiare in Giappone”. Anche il pesce utilizzato oltreoceano viene trattato differentemente rispetto a quello che si fa in un ristorante giapponese in Italia: non deve essere solo fresco e tagliato in modo perfetto, ma lavorato a seconda della specie. “Questo – precisa De Bortoli – distingue chi ha una cultura del pesce e chi no. Alcuni pesci vengono lasciati in acqua corrente, altri in miscele di altri ingredienti. Tutto serve non solo a migliorare la condizione igienica, ma anche a perfezionare il profilo organolettico del prodotto. Queste sono solo alcune delle tecniche che vengono insegnate ai nostri corsi e che servono a preparare gli chef in vista della gara di sushi”. Ai corsi per la Italy Sushi Cup si insegna, per esempio, a drenare il sangue dei pesci, che giungono vivi sulle tavole degli chef (contrariamente a ciò che accade nel nostro Paese). Il termine Ikeyime raggruppa una serie di tecniche utili per mandare in coma il pesce appena arrivato e per poi dissanguarlo: così il pesce non soffre, le sue carni rimangono tenere e mantengono un sapore intenso di mare. “I corsi organizzati da AIRG – precisa De Bortoli – hanno una parte teorica e una parte pratica. Sono riservati a chi da tempo lavora in un ristorante giapponese e può mettere in pratica quotidianamente ciò che ha imparato. Il corso dura due giorni ed è molto intensivo, e prepara il concorrente per la Italy Sushi Cup”.
Una competizione, quella che si terrà il 28 maggio a Vercelli, che prevede tre prove per i candidati: una di preparazione del pesce, una di composizione di sushi tradizionale e una di sushi creativo. A essere valutate saranno le competenze tecniche, ma anche la conoscenza degli stili base tradizionali e la presentazione del proprio stile personale, senza dimenticare l’attenzione all’igiene e alla sicurezza alimentare. A giudicare i concorrenti una giuria prestigiosa composta dai grandi nomi del sushi internazionale, primo tra tutti lo chef Gentaro Yamazaki, docente emerito di WSSI, Hirotoshi Ogawa, icona mondiale dell'alta cucina giapponese, Minoru Hirazawa, fondatore e presidente di AIRG, l’Associazione con la quale dal 2003 promuove la conoscenza dell’autentica cucina giapponese. Oltre a loro anche altri tre prestigiosi nomi, provenienti da Polonia, Belgio e Romania. L’intento di questo agone è creare una generazione di cuochi che possa fare il sushi esattamente come succede a Levante. Che sappia quindi disporre secondo regole e gusti cromatici pezzi di pesce e pezzi di riso, abbracciando una filosofia semplice e complessa allo stesso tempo e riuscendo a mettere le persone in armonia con se stesse e con il creato. In una parola, che sappia dare vita a un’opera d’arte.
Cristina Gambarini,
marzo 2025