Ho incontrato qualche giorno fa Claudio Sadler alla festa per i suoi 60 anni, organizzata nel cortile vecchia Milano accanto al suo ristorante di via Ascanio Sforza. In realtà, i numeri "tondi" da celebrare sono tanti:
60 gli anni compiuti il 4 giugno 2016
30 gli anni dall'apertura del suo primo ristorante
25 gli anni dalla prima stella Michelin
20 gli anni di servizio banqueting
Tra un brindisi con Ernst Knam e due chiacchiere con Gualtiero Marchesi, riuniti insieme a tanti amici e colleghi di Sadler, ne ho approfittato per fargli qualche domanda sulla sua concezione della cucina e sull'evoluzione della gastronomia in Italia.
Lei definisce la sua cucina “moderna in evoluzione”: cosa dobbiamo aspettarci dai suoi piatti?
È una cucina fatta di piccoli dettagli, di attenzioni, che non vuole stupire, ma gratificare e rassicurare: voglio che l’ospite esca contento dal mio ristorante.
E invece com’era 30 anni fa?
Inseguiva un momento di edonismo personale e, per stupire, ricercava anche cose un po’ astruse. Ora non più: trovo piacere nel fare cose buone. Che siano più o meno ricercate non ha importanza. Voglio che mi rappresentino nella sicurezza di quello che faccio, del mio pensiero. Cerco prodotti, cotture, concetti molto sicuri.
Quindi una creatività “misurata”?
Non amo disorientare il cliente. Certo, per chi non rinuncia alle emozioni fuori dai canoni, nel mio ristorante c’è il menu creativo con la rappresentazione più spinta della mia cucina, ma cerco sempre qualcosa che affondi le radici nella tradizione. Perché la cucina è anche evocazione di un pensiero che abbiamo dimenticato o conosciuto da piccoli e che oggi non sembra più di moda. Ma se tu lo elabori, lo alleggerisci… va benissimo anche un piatto di cassoeula.
La sua cucina si è evoluta in parallelo alla cucina italiana?
Ho seguito tutti i flussi: ho partecipato all’evoluzione della nouvelle cuisine, ho fatto la cucina del territorio e quella mediterranea, ho anche abbozzato qualcosa della cucina molecolare. Ma guardo con un certo scetticismo a tutte le mode, che arrivano e poi passano. Così faccio le mie scelte, che alla fine riflettono il mio gusto.
Quanto Oriente c’è nei suoi piatti?
Dopo 5 anni in Giappone e 4 in Cina, qualcosa di orientale è entrato nella mia cucina: innanzitutto il modo di presentare un piatto e di valorizzare ogni prodotto della ricetta, poi l’assoluta precisione e la logica che si applica a ogni piatto in base alle materie prime utilizzate ma, più di ogni altra cosa, la stagionalità degli ingredienti, che in Giappone è fondamentale.
Perché ha deciso di diventare chef?
Perché la cucina mi permette di esprimere tutta la mia creatività e ha il pregio dell’immediatezza: fai una cosa e la vedi realizzata subito, non sei un anello di una grande catena.
Si riconosce nei giovani che fanno gavetta nelle sue cucine?
Oggi i ragazzi hanno più possibilità, perché la tecnica gastronomica si è evoluta e accostare scienza e cucina è molto più facile. Quando ho iniziato a lavorare, facevamo una cucina opulenta e di intuito: se poi avevi capacità, curiosità, intelligenza e voglia di crescere, venivi fuori.
La straordinaria attenzione mediatica sulla cucina è positiva?
Penso di sì. La cucina in questi ultimi anni ha vissuto un boom anche grazie a personaggi come Carlo Cracco e Antonino Cannavacciuolo. Finalmente le viene riconosciuto un grande valore. Me ne rendo conto quando tengo lezioni, dimostrazioni, team building: le persone vanno via felici, soddisfatte. E per qualche ora hanno dimenticato i loro problemi.
Come sono cambiati i ristoranti?
Se una volta c’era una cultura della cucina, oggi non è così: c’è il desiderio di apparire, il ristorante è diventato un luogo di moda, più un palcoscenico che che un posto dove apprezzare in tranquillità cibo e vino. Io invece non voglio un ristorante caotico, rumoroso, voglio poter ritagliare 3 ore di pace e tranquillità nella vita sempre più frenetica e complicata delle persone. Penso che, quando si esce con una persona per dedicarle tempo e attenzione, questo sia il posto più adeguato.
Qual è il piatto della memoria?
I tortelli di zucca, che facevo da bambino con la mamma e la zia e oggi ho trasformato con scaloppine di foie gras e mandorle tostate.
E il piatto in carta che va di più?
Sono due. I tagliolini con l’alga spirulina, che è un piatto salutare con i cannolicchi, i calamaretti e il katsuobushi, e il wagyu, pregiata e gustosa carne di manzo giapponese. La predilezione per quest’ultima è stata vera una sorpresa, perché è un piatto molto caro che non richiede alcuna tecnica, solo una materia prima di grande qualità. Questo significa che in cucina si possono fare cose eccellenti eppure semplici, che tutti capiscono.
Enza Dalessandri
15 luglio 2016