Questa preparazione assai gustosa, nata a Genova ma ormai comune in tutta la Liguria, era per tradizione un piatto riservato alle grandi occasioni per la complessità della preparazione e per la ricchezza di sapore. Servita rigorosamente a fette, oggi la si può trovare tutto l’anno
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Originariamente un piatto di recupero genovese, oggi è un secondo eccellente della cucina ligure, apprezzato anche dai gourmet più esigenti. Il ripieno cambia a seconda delle zone e delle stagioni, ma il risultato è sempre molto appetitoso: inoltre, questa preparazione generosa regala anche un brodo leggero e gustoso. Elemento essenziale del piatto, curiosamente, è la maggiorana, detta in genovese apersa.
La cima è una preparazione riservata da sempre alle grandi occasioni: nelle famiglie genovesi era quasi un rituale praticato dalle massaie, che dovevano essere brave in tutte le fasi della lavorazione. Con il tempo e il benessere questo piatto si un poco alleggerito e trasformato in una golosa pietanza, gioia per il palato e per gli occhi: il colore variegato degli ingredienti rende particolarmente belle le fette. All’origine aveva un consumo stagionale: considerata l’abbondante di uova e di pisellini freschi, siamo di fronte a un piatto della primavera. Nei menu della tradizione, infatti, è indicata come piatto freddo del pranzo di Pasqua.
Di che si tratta In pratica, la cima ligure è una tasca di carne di vitello (in genovese si preferisce il termine “vitella”) realizzata con un’attenta e fitta cucitura che tradizionalmente accoglie un ricchissimo ripieno fatto con interiora (anch’esse di vitello, perché́ i genovesi da sempre lo preferiscono al manzo). Oggi il piatto viene spesso semplificato e alleggerito, sostituendo alcune frattaglie con semplice carne di maiale. Serve una fetta sottile tagliata dalla pancia del vitello, ripiegata a libro.
Ripieno: preparazione complessa Essendo un piatto di recupero, la farcia è composta da poppa, animella, schienali, cervello, strigolo (in dialetto castagnetta), talvolta un pezzo di orecchio. La preparazione delripieno va effettuata con la massima attenzione. Oltre alle frattaglie, la ricetta tradizionale vuole come verdure carciofi e piselli. E poi uova, parmigiano grattugiato, mollica di pane inzuppata nel brodo, aglio, sale, pepe e maggiorana, che non deve mancare. Il prosciutto tritato e le carote a dadini piccolissimi sono variabili che dipendono dai gusti. In alcune ricette si trovano anche funghi secchi e/o pinoli.
La prima fase prevede la cucitura della tasca con un robusto filo di cotone (foto sotto) da tutti i lati meno uno, da cui entrerà il ripieno, che dovrà essere denso. La tasca andrà riempita per tre quarti, anche un po’ meno, poiché in bollitura il ripieno si espanderà, con il rischio di una rottura della tasca e fuoriuscita del ripieno nel brodo.
La cottura e il servizio Tradizione vuole che, una volta chiuso anche l’ultimo lato della tasca, la cima venga avvolta in un telo di lino e cotta a fuoco moderato con le verdure del brodo per circa due ore. Poi la cima va chiusa, sempre avvolta nel telo di lino, tra due taglieri, con un peso sopra per far uscire eventuali infiltrazioni di brodo e per darle la caratteristica forma, e lasciata a raffreddare per almeno un paio d’ore. Così sarà̀ possibile tagliarla perfettamente a fette che saranno distese sul piatto di portata. Rotonde e dorate, in antico genovese davano il nome dialettale alla cima, ossia l’oeggiu (occhio).
Varianti Se ci si sposta verso l’estrema Riviera di Ponente (nella foto sotto, la spiaggia di Varigotti), la cima è più̀ smilza e sottile, con meno uova nel ripieno e con una sinfonia di verdure ed erbe aromatiche: bietole, lattuga, piselli, salvia e, naturalmente, maggiorana. Più gli altri ingredienti del ripieno citati prima. Mentre quella genovese è ampia e dorata, quella ponentina è più sottile e verdissima allo sguardo. Entrambe sono deliziose.
Origini incerte Per quel che riguarda l’origine del piatto, mancano ricette storiche. Tuttavia, la prima indicazione della cima come preparazione si trova nel 1784nella lista delle spese dei marchesi Spinola, una delle famiglie patrizie più̀ importanti e facoltose di Genova. Molto probabilmente il piatto nasce a livello popolare come recupero di avanzi e frattaglie: ancora una volta, essendo a Genova, siamo di fronte a una ricetta di origine urbana e non contadina, perché́ gli ingredienti vengono dal mercato. Come molti piatti popolari, la cima, nel tempo, è stata arricchita e nobilitata sino a diventare una pietanza molto sofisticata. Come “cima alla genovese, è stata inserita nel lungo elenco di Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT).
Celebrazioni illustri tra realtà e leggenda Non sono mancate, soprattutto in dialetto, le celebrazioni poetiche della cima, come quella di Aldo Acquarone (1898 - 1964) che ha racchiuso la ricetta in un sonetto, A çimma pinn-a, o re di piatti frèidi (re dei piatti freddi). Acquarone ricorda che la sacca di vitello deve avere “...l’oexin serròu e ben cuxio con do spaghetto...” (l’occhio chiuso e ben cucito con un filo robusto); le belle fette tagliate sottili sono applaudite da tutti i commensali, che la dichiarano “O re di piatti frèidi a çimma pinn-a” (il re dei piatti freddi la cima ripiena).
Ammantato nel fantastico e nel superstizioso l’omaggio alla cima fatto dal cantautore Fabrizio De André (foto sopra), genovese d’adozione fin dall’infanzia. La bella canzone, 'Â çímma, è un brano contenuto nell'album Le nuvole, scritto insieme a Ivano Fossati e cantato interamente in dialetto ligure, prezioso per la scelta dei vocaboli e degli aggettivi. De André spiega che prima di cominciare a preparare la cima occorre collocare in un angolo della cucina una scopa, per impedire che una strega scenda dalla cappa del camino e ne rovini la preparazione. La strega si distrarrà a contare i fili di paglia della scopa, e nel frattempo la cima sarà preparata. De André suggerisce alla cuoca di pungere di sopra e di sotto la cima con due grossi aghi e invita la Madonna a cacciare “tutti diai da sta pugnatta” (tutti i diavoli da questa pentola). Forse a dire che la cima è diabolicamente buona?