Fettuccine con traccia di Fipronil, salsiccia sarda con ceppi di salmonella, tonno con valori troppo alti di istamina, farina con allergeni non dichiarati in etichetta, tiramisù con data di scadenza errata. Sono centinaia i prodotti che ogni anno entrano ed escono dai negozi, perché prima vengono messi in vendita ma poi vengono ritirati dal commercio perché non conformi alla legge. In molti casi si tratta di inesattezze nell’etichettatura: in questi frangenti i lotti vengono tolti dai negozi senza informare i consumatori perché non sussiste un pericolo per la salute.
Ma in 20 casi su 100 entra in gioco la sicurezza alimentare perché si tratta di alimenti che, per motivi chimici, fisici o microbiologici, possono nuocere alla salute dei consumatori, ad esempio perché contengono contaminanti o perché sono state riscontrate criticità nel packaging. Ecco quindi che scatta l’allerta ufficiale e i cibi vengono richiamati e tolti dal commercio entro 24 ore.
Eppure se ne parla poco e i consumatori non sono informati su queste misure, benché la comunicazione del ritiro dei prodotti non conformi sia una delle procedure obbligatorie a cui devono sottostare le aziende produttive e distributive. Anzi, di recente il ministero della Salute ha aggiornato l’iter obbligatorio imponendo di segnalare il ritiro dei prodotti anche sui social network e creando un sito dove sono elencati i richiami di prodotti alimentari effettuati in Italia. Eppure queste notizie passano ancora quasi inosservate, come racconta in modo efficace un libro pubblicato da Il Fatto Alimentare, il sito che nel 2013 ha promosso una petizione rivolta al Ministero della salute e alle catene di supermercati, invitandoli a rispettare la legge che obbliga a pubblicare sui siti la lista dei prodotti ritirati dagli scaffali.
L’obbligo di informare i consumatori
Quando un cibo deve essere ritirato dal commercio l’azienda che ne è responsabile deve comunicarlo all'autorità sanitaria locale, alle catene di supermercati e ai dettaglianti con un apposito documento, dove specificare le ragioni del richiamo, fornire tutti i dettagli che possano identificare il prodotto (ad esempio nome, data di scadenza e lotto di produzione) e la descrizione precisa dei possibili rischi legati al suo consumo. E allegare la foto del prodotto. Inoltre l’azienda è tenuta a fornire ai consumatori le istruzioni per gestire il prodotto e i riferimenti per contattare il servizio clienti.
Questa comunicazione deve essere esposta in tutti i punti vendita coinvolti (dalle botteghe agli ipermercati) e, se il prodotto è potenzialmente tossico, deve essere diramata anche sui giornali, in televisione, alla radio e pubblicata sul sito internet dell’azienda o sui social network.
L’obbligo di segnalare il ritiro dei prodotti alimentari anche sul web è una novità recente. E’ stata introdotta nel 2016 dal ministero della Salute, che ha reso accessibile anche ai consumatori una parte del sito web del Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS) dove sono raccolti tutti i casi di prodotti richiamati segnalati dalle Regioni o dalle ASL. Anche una quindicina di catene distributive (come Coop, Auchan, Simply, Lidl, Billa, Eurospin, Sogegross e Gros Cidac) segnalano sui loro siti i casi di prodotti richiamati. Ma quanti consumatori lo sanno e li vanno a consultare per verificare di non averli già acquistati? E perché il sistema funziona a singhiozzo, e talvolta le segnalazioni si trovano solo sul sito del produttore o del commerciante o solo su quello del ministero e non sulle altre pagine web? La risposta è che mancano sia una prassi codificata unitaria sia una cabina di regia, che coordini in modo efficiente il sistema, complicato dalla frammentazione della struttura distributiva italiana, fatta di migliaia di negozi e botteghe, anche piccoli e poco informatizzati.
Un libro per saperne di più
“La responsabilità di questa situazione è da ricercare soprattutto nel comportamento delle autorità sanitarie e del ministero della Salute, che ha dimostrato una gestione lacunosa dei richiami cercando di mantenere il più possibile le notizie secretate. L’assenza di una cabina di regia in grado di gestire le allerta, ha creato molta confusione in questi anni e purtroppo continua ancora a disorientare. Il risultato di questa politica è che nessuno conosce il numero dei ritiri e dei richiami portati avanti da supermercati e punti vendita” si legge in “Scaffali in allerta”, il libro realizzato scritto da Roberto La Pira del Fatto Alimentare che spiega perché le notizie su questi ritiri sono poco diffuse e descrivere le criticità del sistema di allerta.
A cominciare dall’opacità. Nel 2016, il sistema di allerta rapido europeo ha registrato 817 casi di allerta, cioè alimenti che presentavano delle criticità in grado di causare problemi seri per la salute (allergeni non dichiarati in etichetta, corpi estranei, contaminazioni microbiologiche). 183 di questi prodotti erano distribuiti in Italia: perché queste notizie non siano apparse sul sito istituzionale, si chiede La Pira? “Sino al gennaio del 2017 il ministero ha riportato ogni anno una decina di casi di allerta a fronte delle circa 60 segnalazioni annuali pubblicate sul Fatto Alimentare propone ai lettori” si legge nel libro. E resta un mistero anche il criterio seguito dagli uffici ministeriali per selezionare le allerta da pubblicare. “Ci siamo rivolti agli uffici del Ministero della salute per avere chiarimenti, ma le risposte sono state molto generiche” conclude La Pira.
Manuela Soressi
agosto 2017