Ogni tanto fa piacere andare controcorrente. È vero, è un mestiere per adolescenti, e io purtroppo quell’età l’ho superata da un pezzo, però il gusto di fare un po’ il bastian contrario, con il passare degli anni, torna e regala sottili emozioni.
Così, quando mi sono imbattuta in una piccola storia che parla di festeggiare Pasqua con le castagne secche, ho pensato che vi volevo far sgarra-re. Basta con le primizie primaverili, fragole a gogo, uova di cioccolato e colombe. Ci sta invece un bel dolce dal sapore autunnale, come ben sanno gli abitanti di molti paesi del Monferrato, non solo alessandrino ma anche astigiano, che celebrano Pasqua con la torta di castagne secche. Tutti controcorrente? No, fedeli seguaci di una vecchia tradizione nata per festeggiare la fine dell’inverno, della Quaresima e della penuria alimentare. Niente di meglio dunque che usare le ultime castagne secche rimaste (la gente comune le chiamava “confet’d montagna”), per fare una torta povera, ma considerata ricca, perché comprendeva uova, zucchero e amaretti, e che col passare del tempo si è arricchita ulteriormente con cacao e Rum.
La ricetta odierna ha un secolo di vita, ma la tradizione orale parla di un dolce molto ma molto più antico. D’altra parte in Piemonte è così diffusa la torta di castagne che la Regione l’ha decretata Pat (Prodotto agroalimentare tipico). Una delle tanti varianti ha dato vita al nostro dolce di Pasqua che trova spazio e si diffonde a Canelli e in altre zone del basso astigiano arrivando nell’alessandrino, in particolare a Pontestura, che ha anche assegnato alla torta la De.Co. (Denominazione comunale), poiché dall’Ottocento famiglie e fornai non hanno mai smesso di prepararla. La ricchezza dei boschi di castagni nella regione (nel cuneese, in val di Susa, tutta la fascia pedemontana, nella valle del Tanaro) ha sempre costituito una fonte alimentare molto impor- tante. I marroni si vendevano, le castagne più piccole si essiccavano per farne farina per pane e pasta e in stagione in ogni famiglia c’era sempre un buon piatto di castagne fresche.
Ma la diffusione e l’uso di questo frutto dove il castagno scarseggiava (come a Pon- testura), si deve anche al vino. Il matrimonio tra i due, si sa, è perfetto, ma allora il mondo dell’abbinamento cibo vino era molto distante; c’erano invece i carrettieri che dal Monferrato o dalle Langhe partivano per portare il vino nelle zone montane della regione e torna- vano indietro pieni di castagne secche. Queste, nella ricetta di Pontestura, lessate e passate allo schiacciapatate sino a diventare purea, venivano mescolate a uova, zucchero, mele cotte e cacao. A partire dal Novecento si aggiunsero gli amaretti e il famoso cichet, ossia un misto di liquori fatto da Rum, Maraschino e Alchermes. Le varianti astigiane spesso non avevano le mele, ma compariva il cioccolato, oltre al cacao e qualche volta anche a un po’ di uvetta. Erano considerate invece meno raffinate le ricette che sostituivano i liquori dolci e aromatici con Marsala e grappa. Ieri come oggi, una volta cotta, la torta deve essere marrone, friabile, asciutta, finemente alveolata e soffice, dal buon sapore di castagna. Si serve con zabaione e panna montata e molte versioni odierne la presentano anche ricoperta da una glassa al cioccolato che, essendo Pasqua, male non fa, anzi... Una torta controcorrente e fuori stagione ma assolutamente da assaggiare.
Laura Maragliano
aprile 2023