Non castagnaccio, ma castagnacci
Il plurale è d'obbligo, dato che di questa antica, rustica preparazione a base di farina di castagne esistono moltissime varianti regionali, dalle valli piemontesi fin giù alle regioni del Sud, passando lungo tutta la dorsale appenninica, ovvero i vasti territori di mezza montagna dove prosperava "l'italico albero del pane", come fu definito dal Pascoli il castagno. Dai suoi frutti essiccati e macinati si otteneva uno sfarinato povero di proteine, perché privo di glutine, ma ricco di carboidrati, che per secoli e fino a tempi recenti, come la Seconda Guerra Mondiale, è stato fondamentale per la sussistenza delle genti di montagna. Una materia prima facilmente disponibile che veniva mescolata a poca, più preziosa farina di frumento per ricavarne pani scuri, compatti, di gusto dolciastro. Per farne invece una sorta di torta, l'ingegno contadino aggiungeva alla pastella di farina di castagne e acqua poco altro: frutta secca (pinoli, noci, uvetta), erbe aromatiche (in primis rosmarino, ma in Liguria gli vengono preferiti semi di finocchio), un giro d'olio. In breve, una torta umida e non lievitata, più simile a un "pane arricchito" perché senza uova, né burro, né zucchero, contando sul fatto che la castagna è già dolce di per sé. Una perfetta ricetta veg, scriverebbero i ricettari d'oggi, in più anche gluten free.
Senza patria, o forse sì
Se il castagnaccio non può vantare una ricetta esclusiva, va da sè che è difficile anche stabilirne con certezza il luogo d'origine (si ritrova tra i Prodotti Alimentari Tradizionali di cinque regioni, scoprite la nostra ricetta del castagnaccio campano), ma le rare fonti giunte fino a noi lo fanno comunque risalire alla Toscana. Nel Commentario di Ortensio Landi (1553) viene citato un certo Pilade da Lucca, "il primo che facesse castagnazzi e di questo ne riportò loda". Certo è che in Toscana il castagnaccio è tradizionalmente molto diffuso, con interpretazioni locali dai nomi più diversi e fantasiosi: baldino ad Arezzo e nel Casentino, torta di neccio (termine dialettale per la castagna) a Lucca, pattona in Lunigiana, terra di confine tra Toscana, Liguria ed Emilia dove era usanza cuocerla nelle foglie di castagno.
Una ricetta antica certificata Dop
Probabilmente è questa la ricetta più antica, con due soli ingredienti: farina di castagne e acqua, a volte con un goccio d'olio, cotta nel forno anche a mo' di crespella, tra foglie di castagno. Semplice e basica, era il companatico di ricotta e formaggi. Oggi la secolare tradizione toscana dell'utilizzo della farina di castagne è stata "incoronata" da due certificazioni Dop, vero unicum nel nostro paese: quella della Lunigiana e quella di Neccio della Garfagnana.
La parola all’esperto
Dal 1962 la trattoria La Lina è espressione dell'autentica cucina lunigiana. Dopo aver affiancato la madre in cucina per più di 30 anni, Francesca Ruzzi porta avanti con passione la tradizione di famiglia con il marito Valter Pigoni, grande conoscitore dei prodotti del territorio.
Una delle vostre specialità è la pattona, in cosa consiste?
Viene fatta solo con farina di castagne, acqua, sale e un goccio di latte, è alta un paio di centimetri ed è di consistenza morbida. E' più semplice rispetto al castagnaccio che fanno in Garfagnana, dove aggiungono all'impasto pinoli, uvetta, noci e rosmarino. Prepariamo anche i pattoncelli, delle dimensioni di una frittella, cotti al forno tra foglie di castagno.
Come viene servita?
L'abbinamento migliore e più tradizionale è con la ricotta, ma sta bene anche con i formaggi vaccini a pasta molle e con i pecorini giovani. Personalmente la gusto anche con il gorgonzola. Può essere servita come antipasto o come dessert, non ha una collocazione precisa nel menu.
Presto sarà disponibile la farina di castagne nuova, qualche consiglio?
Per mantenerla fragrante a lungo e non farla alterare dal punto di vista organolettico si può chiudere in sacchetti e conservarla in freezer. La farina vecchia assume infatti un gusto pungente, poco gradevole al palato.
Paola Mancuso
aggiornato ottobre 2022