Dimenticate tutto quello che pensavate di sapere sul caffè americano. A cominciare dal nome che è, più correttamente, caffè filtro, brewed coffee in inglese. Una tecnica di preparazione che non ha nulla a che fare con la bevanda brodosa preparata in molti bar, semplicemente allungando un espresso con acqua calda.
Al contrario, un buon caffè filtro ha regole, dosi, modi e tempi che esaltano la materia prima, ovvero la miscela, regalando tazze profumate e aromatiche. A sorpresa, non solo calde.
A spiegarcele sono le sorelle Raffaella ed Emanuela Bocchia, titolari della torrefazione di famiglia ad Avegno (in provincia di Genova), che nei loro locali di Recco, Rapallo, Chiavari e Sestri Levante (clicca qui) offrono questa specialità declinata in ben quattro versioni.
La miscela giusta
Prima di tutto c'è bisogno di una miscela fatta ad hoc. Perché, se paragonato alla nostra "tazzulella", il filtrato è sì un caffè che si può definire per certi versi leggero, ma questo non significa senza gusto. Al contrario, ha una spiccata aromaticità e una sorta di dolcezza naturale che, in molti casi, rende superflua l'aggiunta di zucchero.
Parte del merito è dovuto proprio alla miscela di partenza, che è di varietà 100% arabica. La tipologia di caffè detta robusta è, infatti, quella responsabile del gusto "forte" e amaro tipico, per esempio, dell'espresso napoletano: un'intensità che sarebbe poco adatta al brewed coffee.
Importanti anche la tostatura, che non deve essere troppo scura (come invece per l'espresso), e la macinatura, abbastanza grossa, in modo che l'acqua possa scorrere facilmente attraverso la polvere nel filtro ed estrarne la fragranza.
Decisa la miscela, occorre sapere che la dose di polvere di caffè utilizzata in queste preparazioni è di 60 g per litro d'acqua, che deve essere calda ma non bollente, per non "bruciare" e disperdere le componenti aromatiche: la temperatura ideale è di 93°.
Infine, arriva il momento di scegliere lo stile di preparazione più adatto ai nostri gusti.
Gli stili pressati
Il metodo più comune è il French Press, ideato Oltralpe a metà dell'800, che si prepara in speciali caraffe in vetro (le stesse che si usano anche per tè e tisane), munite di uno stantuffo portafiltro. Il caffè è messo nella caraffa insieme all'acqua, si rimescola, poi si lascia in infusione 4 minuti prima di abbassare lentamente lo stantuffo con il filtro separando la bevanda dalla polvere, che rimane sul fondo.
Un metodo pressato decisamente moderno è AeroPress, che prende il nome dell'utensile, ideato negli Stati Uniti poco più di 10 anni fa, composto da un bicchiere con il filtro sul fondo e da uno stantuffo: il bicchiere si sistema sulla tazza o su un bricco, si versano il caffè e l'acqua, si rimescola e si attendono 2 minuti prima di abbassare lo stantuffo che "pressa" l'aria all'interno del bicchiere e fa passare l'acqua attraverso la miscela.
Entrambi questi metodi regalano un caffè poco acido (ma attenzione: l'acidità nel caffè è caratteristica positiva, sinonimo di freschezza) ma più forte, facendo risaltare soprattutto le note amare, e sono quindi indicati per chi comunque gradisce una bevanda abbastanza carica. Anche dal punto di vista della caffeina, tanto più presente quanto più a lungo l'acqua resta a contatto con la polvere.
Gli stili colati
Si potrebbero definire così quei metodi in cui l'acqua è versata sul caffè e lasciata scorrere naturalmente, senza l'azione meccanica degli stantuffi degli altri metodi.
Il più semplice è il V60, nato in Germania nei primi del '900: V come la forma del portafiltro, che si sistema su una brocca o direttamente sulla tazza. Per questa tecnica, la prima operazione è quella di bagnare leggermente il filtro, prima di versare la miscela, aggiungere una parte d'acqua e, dopo 30 secondi, il resto: in 2 minuti, l'acqua cola nel recipiente e la bevanda è pronta.
L'accortezza di bagnare il filtro (che si può usare anche nelle macchine americane elettriche, con caraffa) e versare l'acqua in due volte evita che questa si concentri solo al centro della polvere.
Il risultato è un caffè "facile", dolce, che si sorseggia volentieri anche più volte al giorno.
Decisamente sorprendente la tecnica Cold Brew. Nata in Giappone addirittura nel 1600, è un'estrazione a freddo che si esegue con un apposito strumento a colonna. Alla base si dispone la brocca; sopra, un cilindro con due filtri, in alto e in basso, tra i quali si mette la polvere di caffè; in cima un recipiente colmo di acqua fredda e cubetti di ghiaccio: l'acqua scende alla velocità di 1 goccia al secondo imbibendo il primo filtro, che la "allarga" in modo da distribuirla su tutta la superficie della polvere, trattenuta dal filtro in basso, da cui esce il caffè, sempre goccia a goccia. Il procedimento è lentissimo: per un litro di caffè sono necessarie addirittura 6 ore. Ma quel che se ne ricava è la sintesi perfetta fra acidità e aroma, con una notevole persistenza. Qualità da esaltare aggiungendo una scorzetta di arancia, o di limone, che rendono la bevanda fredda ancora più profumata e gradevole.
La versione esotica
L'aggiunta di ingredienti aromatici al caffè è molto diffusa in Medioriente, in Africa e in India. Un esempio è l'Arabic Coffee preparato con 24 g di miscela per litro d'acqua: "La tostatura è molto chiara o media, decisamente meno scura di quella per il forte caffè turco o per l'espresso italiano", spiega Umar Mohammed Mujab di Karam, azienda emiratina (clicca qui) il cui caffè arabo si può gustare in esclusiva sui voli Etihad Airways.
La preparazione avviene sul fornello, in un pentolino in cui si fanno bollire acqua e caffè con l'aggiunta di un pizzico di cannella, cardamomo o persino zafferano. Dopo circa 15 minuti, il liquido è trasferito nel tipico bricco arabo, la polvere è lasciata sedimentare sul fondo e il caffè servito in piccole tazze, preferibilmente senza zucchero per poterne apprezzare tutte le sfumature di gusto.
Un'esperienza da provare alla fine di una cena di ispirazione etnica, mentre il caffè filtro classico resta l'ideale per tanti momenti della giornata, dal breakfast in relax al brunch della domenica o, perché no, a una merenda pomeridiana, accompagnandolo con un biscotto o una fetta di torta.
Perché sia, prima di tutto, una piacevole pausa.
Roberta Fontana
Novembre 2016
Foto: Flickr/Janos Heidinger, Flickr/Khalid Al-Haqqan, La luna sul cucchiaio