Magari non sono proprio come la pizza napoletana, diventata Patrimonio mondiale dell’umanità, o il pesto genovese, che si trova oramai in qualsiasi angolo del globo a partire dagli Usa. O il Tiramisù, campione di visibilità tra i dessert nostrani. Sono dolci e duri allo stesso tempo e almeno nel Bel Paese tutti li rispettano e molti li amano. Non solo: sono elemento perfettamente inserito in quel quadro “Tuscany life” che fa adorare la regione natale di Dante Alighieri e buca l’immaginario di milioni di non indigeni persi nel sogno toscano. Non solo: più li conosci, più li ami! Cosa sono? Ma i biscotti di Prato, naturalmente! E il loro fedele sposo, Mr. Vinsanto. Qualcuno ha detto “cantucci”? Ahi ahi ahi…
La Toscana era ancora un Granducato quando a Prato, in via Ricasoli 22, aprì i battenti il biscottificio del pasticciere Antonio Mattei. Era il 1858 e la sua ricetta dei biscotti con le mandorle era destinata a diventare storia, tanto che quei dolcetti si chiamano “Biscotti tradizionali di Prato”. La fama non tardò ad arrivare, in orbita nazionale e internazionale: medaglia la merito all’Esposizione Italiana del 1861 e sei anni dopo menzione speciale nell’Esposizione universale di Parigi.
Nel 1908 il timone del biscottificio passa a Ernesto Pandolfini, che da molto tempo lì lavora. Riceve in eredità la ricetta dei biscotti di Prato, dai pochi e semplici ingredienti – zucchero, uova, farina, mandorle (pugliesi), pinoli (pisani) - e da un piccolo segreto nella preparazione dell’impasto… Nello spirito del fondatore, Pandolfini crea poi altre specialità destinate a divenire dei classici, a partire dai ‘brutti boni’, messi a punto per non sprecare l’albume avanzato da altre preparazioni pasticcere. A 160 anni di distanza la famiglia Pandolfini, con i 4 nipoti di Ernesto, fa ancora faville col biscottificio di Prato e in occasione di questo anniversario ha aperto una bottega-museo nel cuore di Firenze. Segno distintivo del biscottificio – vera e propria istituzione cittadina: il sacchetto blu, colore di casa Savoia, in omaggio all’allora re d’Italia.
Ma infine, cos’è questa storia dei cantucci non cantucci? Sull’uscio ancora troneggia la scritta originaria, con il nome di Antonio Mattei, fabbricante di “cantucci, biscotti e altri generi” o “biscotti e cantucci” che dir si voglia. Ma i cantucci erano in realtà un pane arricchito e addolcito, pasta lievitata impastata con olio e profumata con anice. Mentre quelli di Prato sono biscotti, che l’intuito dell’artista biscottiere Ernesto ha fatto sposare per sempre con il Vinsanto, meraviglioso liquido di uve Malvasia e Trebbiano fatte appassire e vinificate in legno - risale a mezzo secolo fa la lettera con cui comandava il primo ordine nientemeno che a Piero Antinori in persona.
Oramai, a oltre un secolo e mezzo dalla loro creazione, si possono acquistare anche online e scatole di latta e cappelliere piene di biscotti di Prato (anche in versione cioccolato e pistacchi siciliani) partono regolarmente per Australia e ogni dove. In realtà loro sono abituati a viaggiare: quante volte nella storia sono partiti per infiniti Paesi in compagnia di campioni e rappresentanti di stoffe nelle valigie dei commercianti dei famosi tessuti pratesi? Già, i fans dei biscotti di Prato sono davvero ovunque. E sono moltissimi. Recentemente ha svelato la sua passione Bill Clinton, per esempio, ma ci sono nomi storici di prima classe: li adorava Herman Hesse e poi niente meno che… l’Artusi! Che diceva: “State allegri, dunque, che con questi biscotti non morirete mai!”.
Carola Traverso Saibante
ottobre 2018