Da nord a sud, si coltivano diverse varietà di peperoncino. Ora un progetto di filiera ne sta studiando le caratteristiche, per renderle più “green” e benefiche per la salute
Task force di scienziati, agronomi e coltivatori per tracciare l’identikit del peperoncino piccante “made in Italy” e renderlo sempre più eccellente nella qualità, competitivo nei costi ed efficace per il benessere. Il progetto si chiama Pepic, è finanziato dal ministero
delle Politiche Agricole, è iniziato nel 2013 ed è ormai in dirittura d’arrivo. Ma i primi risultati sono già stati resi noti. E le scoperte sono davvero interessanti e potrebbero concretamente rilanciare questo prodotto, di cui siamo buoni consumatori ma pessimi produttori, visto che dipendiamo dalle importazioni per circa il 70%.
Una coltivazione amica dell’ambiente
I ricercatori di sette unità operative del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) sono partiti dalla constatazione che tutte le varietà italiane di peperoncino appartengono alla specie Capsicum annuum e che, nel tempo, si sono differenziate dal punto di vista genetico da quelli provenienti dalle Americhe e dall’Asia. Mettendo a fuoco queste caratteristiche e migliorandole, sono stati ottenuti nuovi genotipi di peperoncini piccanti, che hanno molti vantaggi: sono più adatti alle condizioni dei terreni italiani, possono essere coltivati tecniche finalizzate al risparmio energetico e idrico, e sono adatti alla raccolta meccanica.
Un nutraceutico naturale
Il progetto di miglioramento dei peperoncini italiani ha riguardato anche il loro valore nutraceutico, ossia il tenore in composti importanti dal punto di vista nutrizionale e sensoriale, come capsaicinoidi, carotenoidi, tocoferoli e sostanze volatili (pirazine, esteri, terpenoidi). Il componente più interessante è la capsaicina, che oggi viene considerato un “farmaco naturale” capace di rallentare l’invecchiamento delle cellule perché riesce a mimare sull’organismo gli stessi effetti anti-ossidanti che si ottengono con la restrizione calorica. Non è l’unico “inganno” che la capsacina gioca al nostro organismo.
Secondo un recente studio uscito sull’”International Journal of Obesity”, la capsaicina imbroglia una serie di neuroni, riducendo l’appetito e la voglia di cibi grassi. Dunque, condire gli alimenti con un tocco di peperoncino contribuisce anche a ridurre il senso di fame e quindi diventa particolarmente utile quando si vuole tenere a bada un appetito troppo esuberante. Ma non solo. La capsaicina agisce pure su colesterolo e trigliceridi come ha rivelato un’indagine apparsa sul “British Journal of Nutrition” che ne ha verificato i valori nel sangue di alcuni volontari i quali, per quattro settimane, avevano condito i piatti con 30 grammi di peperoncino fresco tritato.
And the winner is…
Verificandone il contenuto in peperoncini coltivati in varie parti d’Italia, si è scoperto che il più piccante (e, perciò, il più ricco di capsaicina e con maggiori proprietà benefiche) è il genotipo Sigaretta calabrese, il numero uno per contenuto di capsaicinoidi con 52000-85000 gradi Scoville nel fresco liofilizzato e 38000-86000 in quello essiccato. Il che lo situa a circa metà della classifica dei peperoncini più hot, sopra quello di Cayenna ma sotto i vari Habanera e ben lontano dall’inarrivabile Carolina Reaper, che guida la scala con 1,5 milioni di gradi Scoville.Che fare, però, se si esagera col peperoncino piccante? Niente mollica di pane o acqua fredda: il rimedio più efficace è puntare sugli alimenti che contengono caseina, come formaggi, latte e yogurt.
Manuela Soressi
maggio 2017