Difficoltà digestive, problemi intestinali, gonfiore.
O ancora mal di testa, orticaria, senso di affaticamento.
Sono solo alcuni esempi di sintomi generici spesso attribuiti alle cosiddette intolleranze alimentari, ovvero all’incapacità di alcuni individui di “sopportare” determinati cibi, che perciò andrebbero banditi dalla dieta, senza eccezioni né ripensamenti.
Oggi però l’immunologia si è evoluta e specifiche analisi scientifiche hanno permesso di andare oltre il concetto dell’intolleranza alimentare, ormai desueto. Ovvero oltre il pensiero che l’imputato sia il singolo alimento, indagando più a fondo il rapporto tra cibo e salute, in particolar modo esplorando i meccanismi individuali in grado di innescare la cosiddetta “intolleranza”.
Si è visto dunque che ciò che viene chiamato intolleranza non dipende da un solo fattore, ma da una serie di aspetti individuali e di comportamento, che vanno monitorati e corretti per risolvere il problema. Lo spiega bene il Professor Attilio Speciani, immunologo, che nel suo nuovo libro “Le Intolleranze Alimentari non esistono” (qui link al Monadori Store), racconta le ragioni per cui non è corretto parlare di intolleranze, approfondendo le forme di infiammazione da cibo.
Il punto di partenza fondamentale è che il cattivo rapporto con un alimento nasce non dall’alimento in sè (le due uniche intolleranze riconosciute sono attualmente quella al lattosio e quella al glutine, responsabile della celiachia), ma da uno stato infiammatorio, che può essere misurato, scientificamente attraverso la quantificazione di specifiche sostanze, ovvero i biomarcatori.
Misurando i biomarcatori si comprende bene quali sostanze infiammatorie provocano i simtomi e quale alimento viene consumato in maniera scorretta (ovvero in eccesso o in modo troppo ripetitivo). Quando si mangia troppo spesso un alimento, aumenta il livello di queste sostanze, generando infiammazione in tutto il corpo.
L’assunzione esagerata di zuccheri o il consumo di determinati carboidrati/proteine che si alterano sottoposti a temperature elevate possono essere determinanti nel processo infiammatorio dell’intero organismo, simulando una sorta di “allergia”. Se si misura l’infiammazione si riesce a creare il profilo alimentare individuale di ognuno di noi, favorendo il benessere del corpo e anche una migliore regolazione nell’assorbimento degli zuccheri.
Altro fattore essenziale per combattere l’infiammazione è assumere tutti gli alimenti a disposizione in natura, nel giusto rapporto, per ottimizzare la gestione dell’energia.
Anche in questo caso, consumare solo proteine o solo carboidrati nella propria dieta, scatena stimoli infiammatori e metabolici che rappresentano un campanello d’allarme necessario a riportarci sulla retta via, ritornando al giusto bilanciamento tra i vari alimenti.
Infine, conta moltissimo anche la predisposizione genetica. Una persona particolarmente "sensibile" all'infiammazione svilupperà sintomi più facilmente rispetto a un'altra, perciò dovrà prestare più attenzione a regolare la quantità/frequenza di consumo di determinati alimenti che magari introduce in maniera sbagliata nel regime alimentare quotidiano.
Elisa Nata
aprile 2019
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