Probabilmente nei cibi esiste da sempre, ma è solo da una quindicina di anni che lo si è scoperto. E da allora l’acrilammide è diventato un problema in tutti i paesi più sviluppati perché dai monitoraggi ufficiali è emerso che, attraverso l’alimentazione, ne introduciamo davvero tanta, troppa, e che questo è potenzialmente in grado di aumentare il rischio di cancro. Per questo motivo l’Unione Europea ha varato un regolamento, che entrerà in vigore l’11 aprile 2018, che obbliga gli operatori del settore alimentare ad adottare delle misure appropriate per controllare e abbassare il tenore di acrilammide nei loro prodotti. In parellelo in diversi paesi, a partire dalla Gran Bretagna, sono partite delle campagna informative per insegnare a tutti le buone abitudini che riducono l’esposizione all’acrilammide. Ecco le dritte da “importare” anche in Italia.
Uno sconosciuto di nome “acrilammide”
È il 1986 quando l’Iarc (l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) inizia ad approfondire i suoi studi sull’acrilammide, l’ammide dell’acido acrilico usato in diverse industrie (in particolare in quella della plastica) ma presente anche nel fumo di tabacco. Dopo otto anni di ricerche il responso: l’acrilammide è “probabilmente cancerogena per l’uomo“ ed è genotossica, ossia provoca una mutazione del Dna, aumentando il rischio di tumore. Nel 2002 il colpo di scena: la Swedish National Food Administration, in collaborazione con i ricercatori della Stockholm University, annuncia di aver rilevato la presenza di acrilammide negli alimenti. Da lì questa sostanza diventa un priorità per tute le agenzie nazionali e internazionali che si occupano di sicurezza alimentare. Iniziano i monitoraggi sui consumi dei cittadini e così si scopre che i livelli di esposizione sono troppo alti e destano preoccupazione per gli effetti cancerogeni che possono provocare. Già un paio di anni fa l’Efsa ha dichiarato che gli attuali livelli di acrilammide assunti con il cibo in Europa aumentano il rischio di tumore in tutte le fasce d’età e in particolare all’endometrio, ovaio e reni.
Cos'è e come si forma
L'acrilammide è una sostanza chimica, formata da una reazione tra amminoacidi e zuccheri, che si forma nei prodotti alimentari ricchi di amido (come patate, radici, verdure e cereali) quando vengono portati a temperature superiori ai 120°C in presenza di basso contenuto di acqua. È quello che accade quando, in stabilimenti industriali o nella cucina di casa, i cibi fritti, tostati, arrostiti, cotti al forno o alla griglia. Ossia quando i cibi vengono abbrustoliti o bruciacchiati. In linea di massima, più un alimento è abbrustolito e cotto a lungo, più è alta la probabilità che aumenti il contenuto di acrilammide, come avviene nella crosta del pane e della pizza, nei cornflakes tostati, nel caffè solubile e nelle patate fritte o al forno, nei biscotti e nelle fette biscottate ben cotte. Combattere l’eccesso di acrilammide non significa rinunciare agli alimenti amidacei, né cambiare le proprie abitudini a tavola. Basta seguire alcuni semplici accorgimenti in cucina e quando si fa la spesa.
Patate, sì ma…
Le patate fritte e quelle arrosto sono gli alimenti a maggior rischio, perché abbondano dei principali reagenti coinvolti nella formazione dell'acrilammide: asparagina e zuccheri riducenti. Questo non significa che vadano abolite, ma semplicemente che occorre cucinarle e consumarle con attenzione. Se si comprano le patate fresche è importante non tenerle mai in frigorifero, perché questo ne aumenta notevolmente la presenza di zuccheri. Il che significa che le patate, in cottura, sprigioneranno una maggiore concentrazione di acrilammide. Le patate crude dovrebbero essere conservate in un luogo buio e fresco a temperature superiori a 6° C. Prima di cucinarle, è utile immergere le patate in acqua fredda per 30 minuti. Quest'operazione consente di eliminare parte degli zuccheri riduttori: in questo modo l’acrilammide si riduce quasi del 70%. Secondo studi recenti, è utile anche la precottura a microonde delle patatine prima di friggerle: infatti aiuta a ridurre i livelli di acrilamide dal 36% al 60% a seconda della temperatura impostata nel microonde.
Occhio al colore
L’oro è meglio, anche quando si tratta di cottura degli alimenti. Controllare il colore del cibo che è in forno, sulla griglia o sul fornello è un metodo semplice ed efficace per monitorare il livello di acrillamide. Bando, dunque, a cibi scuri, troppo cotti oppure bruciacchiati: la regola generale è di portarli in tavola quando hanno raggiunto un colore giallo, al massimo dorato. Peraltro, in seguito alla cottura spinta delle pietanze non si sviluppa solo l’acrilammide ma anche tante altre sostanze tossiche, come il benzopirene, altro composto dannoso presente, ad esempio, nella carne alla griglia o in una fetta di pane troppo tostata. Ecco perché è importante aver cura di eliminare le parti carbonizzate e le crosticine troppo brunite dagli alimenti prima di consumarli.
Attenzione alle istruzioni
Chi non ha nel frigo o in freezer una confezione di patate pronte da fare arrosto o da friggere in padella? In questi casi la soluzione anti-acrilammide più saggia è verificare le istruzioni di cottura indicate sulle etichette e ovviamente, rispettarle. Così si evita di cuocere questi cibi ricchi di amidi per troppo tempo o a temperature troppo elevate. In genere, comunque, è meglio cucinare un alimento a temperature più basse e per più tempo, anziché a temperature più alte e per tempi più brevi.
Via libera a una dieta varia ed equilibrata
Bando alla monotonia: un’alimentazione che comprenda il maggior numero di alimenti e che rispetti le giuste quantità e dosi è altrettanto importante per evitare i rischi connessi all’eccesso di acrilammide. In particolare l’attenzione a mangiare sano, a basare l’alimentazione sui carboidrati e a rispettare le cinque porzioni giornaliere di frutta e verdura, aiuta a ridurre il rischio di cancro.
Manuela Soressi
febbraio 2018