Per gli appassionati di cucina e i gourmet, l'idea di mangiare la plastica non è molto attraente... ma c'è qualcuno per cui per fortuna lo è. Si chiama Ideonella sakaiensis 201-F6, ed è un batterio in grado di distruggere con vorace golosità il PET, ovvero la plastica con cui noi ingombriamo il Pianeta.
Se ne era già parlato e sognato, adesso dal Giappone è arrivata la notizia: i ricercatori nipponici hanno “stanato” il batterio, e pubblicato le loro scoperte sulla prestigiosa rivista scientifica Science. Il batterio identificato non solo si nutre di plastica, ma è molto vorace: è in grado di disintegrare completamente una pellicola sottile di PET dopo 6 settimane, ad una temperatura di 30°C.
Solo nel 2013 sono state prodotte nel mondo 56 milioni di tonnellate di PET, la plastica più comune che appartiene alla famiglia dei poliesteri, un ottavo di tutta la plastica prodotta (311 milioni di tonnellate), e quella più riciclata - solo poco più della metà lo è effettivamente. Del totale di plastica prodotta al mondo, un terzo finisce in mare. La plastica si fotodegrada, ossia viene scomposta dalla luce in frammenti sempre più piccoli, che alla fine vengono ingurgitate dalle creature marine che siu nutrono di plancton, ed entrano così nel ciclo alimentare.
Ogni anno 8 milioni di rifiuti di plastica si aggiungono negli oceani, e le microplastiche in cui si tramutano hanno già formato due immense “isole”, una nel Pacifico (dove la sua dimensione varia, secondo le stime, da quella della penisola iberica a quella degli Stati Uniti) e una nell'Atlantico, formando una nuova nicchia ecologica detta “plastifera”. Secondo un rapporto presentato all'inizio dell'anno al Forum Economico Mondiale di Davos, tra 15 anni la spazzatura di plastica negli oceani sarà il doppio, ed entro il 2050 in mare ci sarà più plastica che pesci.
Il PET ha delle molecole molto difficili da scomporre, e gli scienziati non riuscivano a trovare un organismo che fosse in grado di farlo. Ideonella sakaiensis 201-F6 potrebbe essere proprio la risposta della natura, del Pianeta che si adatta continuamente, alle condizioni prodotte dalle attività umane. “Se si mette un batterio in una condizione in cui hanno un'unica fonte di cibo per sopravvivere, nel tempo si adatteranno a consumalo” ha spiegato il professore di microbiologia Enzo Palombo.
La ricerca, i cui risultati sono di straordinaria importanza, è comunque solo all'inizio. Alcuni tipi di PET non vengono mangiati, per esempio, e poi la plastica “masticata” potrebbero rilasciare nell'ambiente addittivi tossici dannosi all'ecosistema. Secondo il rapporto del Forum Economico Mondiale, i 150 milioni di tonnellate di plastica già in mare contengono circa 23 milioni di tonnellate di addittivi.
D'altro canto, Ideonella sakaiensis 201-F6 non solo digerisce il PET, ma lo trasforma in un ingrediente che, unito ad un enzima, può ritrasformarlo in PET. Ovvero, il ciclo ha delle ricadute ambientali virtuose, che potenzialmente potrebbero permettere di produrre plastiche con un processo biologico di riciclo, invece che produrne di nuove a partire da prodotti petroliferi (attualmente il 6% della produzione globale di petrolio serve alla produzione di plastiche). Tutto ciò, però, appartiene – forse – al futuro. La vera soluzione per la salute del Pianeta e dei suoi abitanti rimane comunque limitare al massimo la produzione e il consumo di plastica.
Carola Traverso Saibante
15 marzo 2016