Da una recente ricerca emerge un dato sorprendente: due italiani su tre snobbano la pasta confezionata e se la fanno da soli. Ma perché?
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La ricerca Coldiretti/Censis (www.coldiretti.it) presentata il 24 ottobre al World Pasta Day di Buenos Aires svela una nuova tendenza che lascia decisamente stupiti: nell’ultimo anno il 65% degli italiani hanno scelto di fare la pasta in casa. Vale a dire che la bellezza di 27 milioni di persone hanno preferito sporcarsi le mani di farina piuttosto che acquistare il prodotto confezionato.
A sorprendere non sono solo i numeri, davvero alti, ma anche il fatto che la pasta italiana è universalmente riconosciuta come la migliore al mondo. Lo dimostrano i dati presentati al World Pasta Day, che quest’anno certificano il record storico di consumo di pasta italiana all’estero (con una crescita del 3%). Ma perché proprio noi che la produciamo dovremmo essere in controtendenza e consumarne meno degli altri?
Il motivo è sostanzialmente culturale. Se per gli italiani della prima industrializzazione, che affluivano alle città dalla campagne, era un valore liberarsi del fai-da-te, e comprare prodotti confezionati aveva il sapore di una moderna conquista, per gli italiani di oggi, che temono di finire a nutrirsi di pillole come gli astronauti e sono allarmati dai virus letali che colpiscono il pianeta, è un valore farsi le cose da soli, nel modo più genuino e trasparente possibile. Proprio come nel dopoguerra, anche se per motivi diversi.
È così che, mentre nel mondo diminuiscono i consumi alimentari in generale, da noi aumenta l’acquisto di materie prime di base, uova e farina in testa. E quando proprio, per mancanza di tempo o di abilità culinaria, non ci si può improvvisare artigiani e si è costretti a scegliere la pasta secca, si punta comunque al prodotto tradizionale e nostrano. Non a caso ormai proliferano i marchi che dichiarano la provenienza italiana del grano utilizzato per la pasta al 100%. In questo senso, i consumatori fanno una scelta che non è dettata solo dalla ricerca della veracità, ma anche dagli esiti della crisi, nel senso che si diventa “nazionalisti” per sostenere il lavoro dei nostri conterranei e l’economica del Paese in generale.