Quando le vacanze erano villeggiature e il mare aveva i colori pastello degli anni Cinquanta, l’estate dei romani si consumava tra il Circeo e Santa Marinella. Il litorale laziale riproduceva la società capitolina, le sue classi e le sue caste. A sud le ville di scrittori ed intellettuali tra le dune di Sabaudia, a nord quelle della gente del cinema nella modaiola Fregene. In mezzo Ostia, ultima spiaggia dei borgatari. La belle époque di Anzio e della limitrofa Nettuno (allora unite in un unico Comune, chiamato Nettunia) era finita con lo sbarco del 1944, l’invasione dei mezzi corazzati e le sale liberty del casinò trasformate in quartier generale americano. Tuttavia è nel decennio successivo che si disegna il nuovo volto di Anzio e del suo litorale, racchiusi tra gli ultimi lembi di natura mediterranea, le sorgenti sulfuree e i ruderi romani, delimitata dalle dune sabbiose della riserva naturale di Tor Caldara a nord, e, a sud, oltrepassata Nettuno, dalla spiaggia di Torre Astura con i suoi boschi e le pinete intatte.
Oggi la fisionomia urbana di Anzio rivela una mescolanza di epoche e di stili. Interi quartieri sono spuntati in mezzo a Villa Spigarelli, costruita sui resti di una villa romana, al villino Sindici sulla riviera di Levante, all’arabeggiante Villa Caterini e a tutte le altre sontuose dimore estive di questa ex Deauville del Lazio. A Ponente, le rovine rosicchiate dalle onde della residenza imperiale di Nerone si allungano nel parco archeologico che termina al capo dell’Arco Muto. La seicentesca Villa Adele è diventata sede del Museo Archeologico e di quello dedicato allo Sbarco alleato. Le costruzioni cardinalizie, Villa Albani e, ancora,Villa Sarsina, sono diventate edifici pubblici. Squadrata e impassibile, la fortezza medievale s’affaccia sul mare di Levante, a riparo del porto che accoglie ogni pomeriggio il rientro dei pescherecci. Accanto alla folla vacanziera che attende impaziente di imbarcarsi sugli aliscafi per le isole pontine, c’è il molo dove i pescatori riparano le reti con cura da ricamatrici e la banchina sulla quale si vendono a buon mercato le cassette di “mazzama”, il pesce povero, sfuggite all’asta dei grossisti.
Ieri e oggi in cucina Il pesce più pregiato è già nelle cucine dei ristoranti di Anzio, tre o quattro insegne di punta premiate dalle guide gastronomiche. L’evoluzione dalle “paranze” a vela ai pescherecci d’altura, dalle “capannucce” – le osterie dei pescatori sul porto – ai ristoranti gourmet, dai semplici piatti del passato a quelli elaborati a misura dei palati contemporanei, non ha cambiato la sostanza di una tradizione nata dall’incontro tra i sapori del mare e i prodotti dell’agro pontino.
La zuppa portodanzese o la minestra di pesce, preparate anche con le parti meno nobili ma spesso più saporite del pescato, sono ancora presenti nei menu accanto ad insoliti abbinamenti come alici e pecorino, dove il gusto grasso delle alici fresche si sposa all’amarognola piccantezza del pecorino romano per condire gli spaghetti. Ristoratori e chef portodanzesi sono gli artefici di questo rinnovamento della cucina marinara del Lazio che ha investito anche le tavole della capitale.
Il segreto è nella freschezza e nella stagionalità del pesce locale, acquistato direttamente all’asta giornaliera, ma anche nelle piccole invenzioni come l’impiego sapiente del formaggio sui primi di mare, nel recupero di ricette casalinghe come il pesce alla cacciatora, nella rivalutazione di specie povere come il cefalo, la tracina, la sciabola, la marmora e il sugherello. Nella riscoperta di tradizioni dimenticate Anzio ha ritrovato la sua identità di paese dove il primo cittadino è il mare.