Nel linguaggio del cioccolato, l’espressione “bean to bar” (letteralmente, “dalla fava alla tavoletta”) indica quelle produzioni, solitamente artigianali o comunque particolarmente attente, che seguono l’intera filiera della lavorazione: dalla coltivazione del cacao, svolta naturalmente da aziende dei paesi produttori ma spesso seguita da vicino verificando il rispetto dei requisiti qualitativi e talvolta anche etici, alla selezione delle fave (così si chiamano i semi del cacao, contenuti nei grossi frutti chiamati cabosse e avvolti da una membrana polposa) e alla loro attenta tostatura e macinatura, per arrivare al concaggio (operazione in cui la massa di cacao viene rimescolata ad alta temperatura, per ottenere una consistenza omogenea e setosa) e alla formatura di quadratini o tavolette, appunto, o anche di praline e quant’altro. L’alternativa è acquistare il cioccolato già lavorato – da fondere e trasformare a piacere – da grandi produttori e distributori internazionali, avendo un prodotto dalla qualità costante e garantita ma con meno possibilità di “personalizzazione”, e meno controllo su quanto accade tra la nascita dei frutti e il momento di piacere dato dal morso di un pezzetto di cioccolato.
Oggi il “bean to bar” è piuttosto diffuso nella produzione cioccolatiera di qualità, ma trent’anni fa – quando se ne iniziò a parlare soprattutto negli Stati Uniti – il suo arrivo in Italia fu una piccola rivoluzione. Tra i pionieri c’è stata Amedei, l’azienda fondata nel 1990 a Pontedera, la cittadina in provincia di Pisa un tempo famosa per gli stabilimenti della Piaggio e oggi considerata il cuore pulsante della Chocolate Valley italiana. Era stata la maître chocolatier Cecilia Tessieri Rabassi (prima donna al mondo a ottenere questo titolo), insieme al fratello Alessio, a puntare sulla creazione di un cioccolato italiano d’eccellenza, riqualificando una vecchia fonderia per farne un piccolo laboratorio artigianale e adottando come brand il cognome della nonna. Dal 2017 Amedei è parte del Gruppo Ferrarelle, che non ne ha però modificato l’approccio alla qualità e il sistema lavorativo, tanto che molti dei collaboratori storici – a cominciare dal chocolate maker Luca Fiorentini – sono rimasti a lavorare nella sede toscana che oggi ha le sembianze di una sorta di casale dalle pareti rosa decorate da fiori e cabosse, ospitando laboratori e macchinari.
È proprio Fiorentini a illustrarci le diverse fasi della lavorazione, e l’importanza di alcune scelte produttive che determinano il successo dei premiatissimi prodotti di Amedei: dal Toscano Black 70 (amabilissimo fondente nato già nel 1998 e ancora oggi prodotto di punta) al cremoso e delicato ma non stucchevole Toscano Latte (blend di semi di cacao provenienti da Madagascar, Ghana, Venezuela) al frutto dei “cru” di Criollo – la più pregiata e rara delle tre principali varietà genetiche di cacao che nascono del mondo, insieme al più resistente Forastero, che dà struttura ai blend, e al Trinitario, che rappresenta una via di mezzo – da precise regioni del Venezuela, come il deciso e rotondo Chuao o l’elegantissimo Porcelana, che prende il nome dalla colorazione candida dei semi.
Prima di tutto, i semi crudi da acquistare vengono selezionati attraverso una valutazione a campione che ne verifica omogeneità e assenza di eventuali muffe o altri difetti, e con il “cut test”, in cui con un apposito macchinario a ghigliottina si tagliano a metà per accertarsi che il processo di fermentazione effettuato subito dopo la raccolta sia stato corretto, evitando acidità o amaro in eccesso: più chiaro è il colore all’interno, maggiore è la qualità. Le fave selezionate vengono tostate senza mai toccare direttamente il fuoco: ci sono tempi e temperature prestabilite per le diverse varietà, ma sono soprattutto l’occhio e l’esperienza dell’addetto – e i ripetuti assaggi – a stabilire quando è il momento giusto, evitando una tostatura eccessiva o non sufficiente e favorendo lo sviluppo degli aromi positivi del cacao. Dopo di che, nella fase della decorticazione effettuata nella “sgranacacao”, si separa la buccia delle fave dalla granella che viene poi macinata in un “mulino a pietra” per ottenere la prima pasta di cacao, intensa e grossolana ma già deliziosa. Si passa poi alla raffinazione in due fasi, che lo rende mano a mano più cremoso, aggiungendo zucchero di canna ed eventualmente latte.
Infine, prima del temperaggio e della colatura negli stampi, c’è il concaggio, che è ciò che distingue principalmente la produzione di Amedei: “Usiamo conche piane e scegliamo un processo lento, entro i 60 gradi, che dalle 8-10 ore può arrivare fino a 72, in base alla varietà e tipologia di cacao usato e al prodotto che vogliamo ottenere. Oggi quasi nessuno fa più concaggi così lunghi, che naturalmente aumentano i costi, ma per noi è fondamentale per sviluppare gli aromi e ottenere consistenze e morbidezze desiderate”, spiega Fiorentini. “Il nostro impegno è nel rispettare al massimo la materia prima che selezioniamo con cura, utilizzando pochissimi ingredienti di alta qualità e scegliendo processi manuali e artigianali spesso lunghi e impegnativi ma che ci permettono di esaltarla al meglio. E, anche se naturalmente ogni cacao ha la sua identità e i cioccolati fondenti risultano più decisi, scegliamo come nostra “firma” la gradevolezza che rimane anche nelle percentuali più alte”.
Il cioccolato Amedei infatti, non contiene lecitina di soia, conservanti o aromi di sintesi ma solo cacao, burro di cacao e zucchero, più naturalmente altri ingredienti per le varianti con frutta secca, disidratata o altro: una ricetta super corta che determina una vita sullo scaffale più ristretta ma garantisce gusto e salute. Il rispetto, coerentemente con l’approccio del Gruppo Ferrarelle (che è Società Benefit e di cui ogni performance viene misurata in base a precisi indicatori di sostenibilità e responsabilità sociale), si amplia anche alle persone – in riferimento a quanti lavorano in azienda e nelle piantagioni, con cui ci sono rapporti molto stretti – e all’ambiente, privilegiando metodi orientati alla riduzione dell’impatto ambientale: dai controlli di sostenibilità in campo, con attenzione anche alla biodiversità, alla diminuzione degli sprechi in produzione e l’utilizzo di pannello fotovoltaici per l’autoproduzione di energia elettrica. E da quest’anno, arriva anche oltre rendendo pienamente circolare il processo: se già i packaging erano leggeri e riciclati, dalla Pasqua 2024 gli incarti delle uova (e poi, progressivamente entro il 2025, anche delle tavolette e di tutti gli altri prodotti, e i materiali promozionali) sono realizzati in una speciale “carta flora” ottenuta dal recupero delle bucce delle fave di cacao tra le fasi di tostatura e macinazione, grazie a un progetto avviato già nel 2022. Così il cioccolato diventa “bean to pack”.
Luciana Squadrilli,
maggio 2024