Mai come quest'anno gli animalisti possono cantare vittoria: sulle tavole di Pasqua gli agnelli e i capretti sono stati molti meno del passato.
I dati parlano chiaro: su Repubblica di oggi la Confederazione italiana agricoltori Toscana dichiara un 25% in meno delle vendite di queste carni e la domanda dei consumatori pare andata a picco, con la conseguenza di prezzi crollati del 30% e celle frigorifere dei supermercati rimaste quasi piene.
Secondo i dati Istat la situazione è persino più grave, visto che tra i rilevamenti del 2009 che registravano 4,68 milioni di agnelli uccisi e quelli di oggi, solo 2,2 milioni, c'è una differenza del 55% in meno.
Facile pensare che le tante campagne in difesa dei cuccioli del gregge abbiano avuto una buona parte in questo risultato. Chi nei giorni scorsi non ha visto spuntare un musetto bianco e batuffoloso implorante pietà dalla propria pagina facebook o dall'email di qualche amico vegetariano?
E oltre alle campagne che puntavano sulla tenerezza, ci sono state le immagini shock dei mattatoi, le denunce sul cattivo stato in cui certi allevamenti tengono gli animali, nonché la proposta di legge di Maria Vittoria Brambilla, animalista convinta che vorrebbe vietare la macellazione dei cuccioli così come avviene da sempre in culture arcaiche tipo quella dei nomadi della Mongolia.
Quello che la Brambilla non dice o non crede vero è la versione data dagli allevatori che spiega come un simile obiettivo sia pressoché irraggiungibile.
Secondo gli addetti al settore, infatti, il sacrificio degli agnelli non è solo un buon affare economico ma un imprescindibile tassello dell'intera filiera dell'allevamento ovino, latte incluso.
La produzione del formaggio, insomma, non potrebbe prescindere da quella della carne perché destinare il latte della madre per i latticini, richiede che il cucciolo le venga tolto dopo circa 40 giorni.
Inoltre, pur ipotizzando di far crescere tutti gli agnelli fino all'età adulta, sarebbe la natura stessa a mettere in competizione i maschi che si affronterebbero e ucciderebbero l'uno con l'altro per la supremazia del gregge.
Infine c'è la dura logica dei conti a dire la sua: se un agnello beve 50 euro di latte e la sua carne non rende nulla, chi ripaga l'allevatore della spesa sostenuta per farlo crescere? È probabile piuttosto che, venendo meno il compenso della sua macellazione o anche solo diminuendo al di sotto di una certa cifra, gli allevatori si trovino costretti a sopprimere i cuccioli appena nati.
Senza contare che una netta riduzione del numero delle greggi nelle nostre campagne, porterebbe con ogni probabilità a un ulteriore degrado di molti terreni che oggi vengono puliti e ben tenuti proprio dall'industria dell'allevamento ovino.
Che fare dunque? Come sempre è molto difficile far quadrare interesse economico e sensibilità umana, ma quando anche la natura si mette contro, la soluzione appare davvero complessa, se non ricorrendo a una forte dose di buon senso.
Daniela Falsitta,
31 marzo 2016
foto credit: Flickr Simone Berettoni