Vita nuova per i grandi classici della nostra tradizione regionale. Dalle crespelle con il tofu alla parmigiana senza formaggio, preparatevi a sperimentare una cucina tutta nuova
Condividi
Il modo migliore per avvicinare la gente alla cucina vegana? Proporre qualcosa che si avvicini alla tradizione, che non allontani ma anzi "accolga" a nuovi sapori.
Niente dogmi, creatività e un pizzico di ironia. Sono gli ingredienti della cucina di Gabriele Palloni, chef toscano che ha intitolato il suo primo libro pubblicato nel 2012 “Speriamo che sia vegan” (ammiccando a un famoso film di Mario Monicelli) è riuscito in un’impresa tutt’altro che semplice: fare apprezzare i piatti vegani nella patria della bistecca alla fiorentina. Come? Senza imposizioni appunto, offrendo nel ristorante che ha gestito per anni nel centro di Firenze un menu vegetariano aperto alla tradizione.
Una cucina semplice, accogliente e attenta ai prezzi. «Una delle soddisfazioni più grandi di questa esperienza è stata vedere come i clienti apprezzassero sempre di più le proposte senza ingredienti animali, magari ricette tradizionali rivisitate, perché gustose e complete ma più leggere e digeribili» dice Palloni.
Fra i suoi piatti, troviamo specialità toscane come le ficattole (frittelline di farina), la cecina (torta di ceci), i crostoni e il peposo (uno stracotto ricco di pepe), ma anche classici come la pasta alla carbonara, il carpaccio, la parmigiana, il tiramisù, tutti naturalmente in versione vegan. Le materie prime, sempre di stagione, sono biologiche e biodinamiche, meglio se di piccoli produttori di prossimità, mentre alcuni alimenti base della cucina vegana, come tofu, seitan, latte e panna di soia, lo chef preferisce autoprodurli. «Preparandoli in casa non solo si risparmia ma è migliore anche la qualità. Per esempio il seitan risulta più morbido e saporito perché più fresco e costa quanto la farina, circa 1 euro al kg, contro i 10-15 di quello pronto». Provare per credere.