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Stefano Bartezzaghi e le alici dissolute

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Strafalcioni esilaranti, traduzioni impossibili e velleità letterarie nelle ricette e nei menu. Stefano Bartezzaghi, enigmista e scrittore, ci spiega nell'intervista che anche il cibo è un grande gioco. Di parole

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di Barbara Galli 
luglio 2016


Come mai noi di Sale&Pepe questa volta vi proponiamo un'intervista a Stefano Bartezzaghi, al posto del "solito" chef? E di che cosa abbiamo parlato con lui, che è scrittore e insieme enigmista, linguista ed esperto di comunicazione? È difficile incasellare Stefano Bartezzaghi in una definizione, più facile ascoltare le sue analisi e riflessioni sulle parole, su come vengono usate e come cambiano nell'era della comunicazione globale. Ma il fil rouge che ci guida è sempre lo stesso. Con le parole non si smette mai di giocare. Ed è con le parole del cibo che abbiamo giocato durante il nostro incontro.


Cibo e linguaggio: uno dei più classici modi di dire è proprio "parla come mangi"….
Suggerirei di modificarlo in "parla come cucini" o "come spadelli". Una lingua, proprio come una ricetta, ha ingredienti e sapori adatti ad ogni occasione. C'è una notevole differenza tra un pranzo di lavoro e una cenetta romantica. Nella cucina c'è una forma di progettazione che a volte manca nella comunicazione, perché si pensa che debba essere "spontanea", nel senso di "non controllata". Quando parliamo dovremmo pensare all'interlocutore per essere efficaci, opportuni. Con la stessa progettualità che mettiamo in atto quando cuciniamo per qualcuno o per un'occasione specifica.

Noi di Sale&Pepe dobbiamo fare i conti con uno specifico "gergo tecnico". Nelle ricette ci imbattiamo in "spolverizzate di prezzemolo" "sbriciolate di mandorle", "dadolate di pancetta" e addirittura "cubettate di pollo". La pasta "salta" in padella e la cipolla "si stufa" con l'olio…
È il tipico esempio di linguaggio settoriale, di specialismo. Poco male se lo usa uno chef o lo si incontra in un giornale di cucina. In quel contesto è veloce, sintetico ed efficace. È un po' quello che accade nei new media, con le abbreviazioni e le contrazioni ortografiche di whats up e twitter per esempio. È uno stile di comunicazione che funziona se rimane lì e non sfocia in altri ambiti. Penso però che affidarsi al gergo tecnico in contesti non opportuni sia un abuso della nostra lingua. Insomma, se chiedessero a me di "juliennare un peperone" rimarrei un po' perplesso…

Quando si scrive a computer, si mette di mezzo il correttore automatico, un grande umorista involontario. A volte mettiamo a bagno le "gondole" in acqua e sale, serviamo un vino "agghiacciato" e un salame "allettato" sottilmente…
Certo, è il refuso creativo, sempre fonte di ispirazione. Ricordo di avere incontrato refusi bellissimi, per esempio "tre alici dissolute", o anche "…lo zar Alessandro II "orinava" lo champagne". Ci sono poi esempi di tautologia (il predicato ripete quanto già espresso dal soggetto) come tuorlo d'uovo (di cosa altro può essere un tuorlo?). E ovviamente errori veri e propri commessi nel tentativo di dare un tono giovanilistico alla conversazione. Si dice per esempio una cofana di pasta, perché cofana era il recipiente con cui i muratori trasportavano il cibo. Da qui il termine "scofanarsi" una pasta, che ho visto degenerare in "scrofanare…". O ancora, sgrullare la tovaglia (al posto di "scrollare"), un'espressione non propriamente elegante.

Nel tuo libro "Come dire-Galateo della comunicazione" affronti i menu dei ristoranti, chiedendoti "chi è il supremo architetto di labirinti che ne ha deciso l'impostazione grafica e linguistica"
Sì ho verificato come, per esempio, basti l'articolo determinativo o l'aggettivo possessivo per cambiare il tono del menu. C'è una certa differenza infatti, se nell'elenco si trova scritto "antipasti", piuttosto che gli antipasti o ancora i nostri antipasti. Ci sono altre riflessioni sulle velleità letterarie dei menu, che di solito compaiono con l'elevarsi del livello del ristorante: pietanze declinate, scomposte, destrutturate; preparazioni in forma di soffi e nuvole o che diventano tramonti, ombre, suggestioni. L'elencazione degli ingredienti si fa esaustiva, addirittura maniacale: "La scaloppa di vitella su letto di scarola di campo, con ristretto di Marsala, scaglie di Cedro e sale di Cervia". L'aggiunta dell'articolo (LA scaloppa) rende assoluto il piatto: chiedere qualcosa di più sarebbe esorbitare dal sensato.

C'è poi il capitolo "L'oste in translation" dove si parla della traduzione dei piatti italiani nei menu all'estero
Sì e alla stesura di questo capitolo hanno contribuito molti lettori della mia rubrica, portando diversi esempi di quanti danni esilaranti può fare google-translate. È il caso di "filetto di manzo ai ferri" tradotto con Thread of Beef to Irons (filo del manzo ai ferri, da stiro); pasta al pomodoro Paste to the tomato (colla al pomodoro, e qui scatta la battuta facile) penne all'arrabbiata Pens to the angry one (penne - quelle per scrivere - a quel tizio arrabbiato). E altre favolose creazioni ortografiche: gli ispanici Suquini e ñoquis (zucchine e gnocchi), gli Espagueti a la voloñesa… E per finire? Un'ottima Cazzata siciliana.


Stefano Bartezzaghi è giornalista, enigmista e scrittore italiano. Figlio del famoso enigmista Piero Bartezzaghi, si è laureato con una tesi in Semiotica al DAMS di Bologna con relatore Umberto Eco. Ha collaborato con le principali riviste di enigmistica italiane e ha curato diverse rubriche su giochi, libri e linguaggio per La Stampa, Radio Due e Radio Deejay. Dal 2000 cura le rubriche Lessico e nuvole e Lapsus per il quotidiano La Repubblica, e dal 2010 insegna Semiotica dell’enigma all’università IULM di Milano. Ha scritto diversi libri tra i quali: Lezioni di enigmistica (2001), Incontri con la Sfinge (2004), Non ne ho la più squallida idea (2006), Non se ne può più (2010), Sedia a sdraio (2011), Come dire. Galateo della comunicazione (2011), Una telefonata con Primo Levi (2012), Dando buca a Godot (2012), Il falò delle novità (2013), M. Una metronovela (2015). Tra le sue varie attività c'è anche stata la revisione della traduzione dei libri della saga di Harry Potter.
A giugno 2016 è uscito il suo ultimo libro La ludoteca di Babele nel quale affronta tutte le possibili definizioni e manifestazioni di quello che chiamiamo "gioco". Dirige il Festival dell'Umorismo Il senso del ridicolo il primo festival italiano su umorismo, comicità e satira. La seconda edizione del Festival si svolge a Livorno dal 23 al 25 settembre 2016 con tre giorni di incontri, letture ed eventi

Foto Francesca Parisini

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