Con le fave fresche e il vino rosso dei Castelli, il pecorino è l’immancabile protagonista della gita fuori porta del 1° maggio, che a Roma chiamano affettuosamente “Maggetto”. Una tradizione che risalirebbe agli antichi Romani, di certo grandi estimatori del formaggio di pecora, apprezzato sulle tavole dei nobili come dai legionari per le loro razioni quotidiane. Dopo 2000 anni, il pecorino romano è rimasto uguale a se stesso, prodotto con il latte di pecore allevate allo stato brado, caglio di agnello e sale. È cambiato però il luogo di origine, che dal nativo Lazio si è spostato in gran parte in Sardegna: nonostante il nome, oggi più del 90% della produzione di pecorino romano avviene nell’isola sarda dove, grazie alle analoghe condizioni naturali, fu introdotta da alcuni imprenditori romani e napoletani ai primi del ’900; e dove si trova la sede del Consorzio di tutela (pecorinoromano.com). Gli altri caseifici sono in Lazio e in provincia di Grosseto, come previsto dal disciplinare della Dop, che il pecorino ottenne fra i primi in Europa: per riconoscere quello autentico (è uno dei prodotti più contraffatti sui mercati esteri), la forma deve riportare il marchio con la pecora stilizzata.
Da tavola o da grattugia
La salagione del pecorino dura circa 2 mesi e il prodotto finale è decisamente sapido: per ridurre il consumo di sodio, nel 2013 ne è stato commercializzato un nuovo tipo, con un contenuto di sale inferiore al 5%. Quello classico è un formaggio a pasta dura, bianca o paglierina, che racchiude il variegato bouquet di aromi dei pascoli sardi e laziali. Il pecorino giovane da tavola, stagionato 5 mesi, è leggermente piccante e si abbina con composte come quella di pere, miele, frutta secca oppure pani rustici e salumi, frutta fresca e ortaggi; l’accostamento classico con le fave è ancora più gustoso con una fetta di pancetta. Il pecorino stagionato (almeno 8 mesi) o da grattugia ha invece una pasta più compatta, leggermente granulosa: il gusto è nettamente piccante ed è perfetto per dare un sapore deciso ai primi piatti, quelli classici della cucina romana come la pasta cacio e pepe, la carbonara e l’amatriciana, ma anche gli gnocchi di patate o di semolino, i ravioli, i risotti e le zuppe. Fra i secondi dà carattere alla carne, dal carpaccio a una semplice fettina, alle uova e persino al pesce (per esempio lo spada e la sogliola); arricchisce poi i contorni di verdure e gli sformati e molte salse tra cui il pesto.
di Marina Cella, foto di Maurizio Lodi, ricetta di Livia Sala, stylist Laura Cereda